Federico di  Giorgi

Federico di Giorgi

La teoria della performance, come vera espressione del sè in scena.

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La vita umana, dicevano gli antichi, è breve. L'arte, invece, è lunga e immortale, sopravvive alle generazioni degli uomini che, come foglie, nascono e si dileguano nel tempo di un mattino. Se c'è un aspetto caratteristico nella storia dell'arte contemporanea, è di aver a lungo polemizzato contro questo adagio secolare. Nei primi anni Sessanta la polemica sfocia in manifesto: l'arte deve farsi breve, effimera e fuggente proprio come la vita. E' questa la svolta imminente che conduce in pochi decenni alla fluidificazione dei confini tra singole arti, alla sperimentazione tecnica in ogni ambito, ma soprattutto a portare alla luce un nuovo genere artistico, la performance art. 

Quest'espressione nasce tra le mura del Black Mountain College nel Nord della Carolina, che accolse durante il periodo bellico artisti ed intellettuali europei rifugiatesi negli Stati Uniti d'America per scampare alla persecuzione nazista. Negli anni Cinquanta questa struttura diviene la sede di una vera e propria comunità di artisti, musicisti, pittori, scrittori, attori e registi che contribuirono a determinare forme e ideologie all'avanguardia. Il fondersi delle molteplici idee degli artisti pone le premesse per dare vita ad un nuovo modo di fare arte che si trasferisce dal celebre college al Downton Newyorkese. 

La performance trova inizialmente le sue espressioni nella musica di Cage del Fluxus Group, negli Happenings di Kapprow, nel lavoro politico del Living Theatre di Julian Beck e nella pop art di Andy Warhol. In questo particolare contesto storico, culturale e politico la performance si manifesta per lo più come un discorso multitematico che assembla le arti visive, il teatro, la danza, la musica, la poesia e il cinema in un ritornello, dove la ritualità primitiva e lo sciamanesimo determinano una ricreata interazione tra artista e spettatore, interrompendo il fazioso ricatto di compiacimento attraverso la proposizione di una strategia d'identificazione e di glorificazione e alla creazione di una rete di nuovi segni, che diventano facilmente riconoscibili dall'audience e, allo stesso tempo, sono fortemente alternativi e del tutto sperimentali alla normale quotidianità culturale dello spettatore, cioè alla forma e ai principi della cultura dominante. A tal riguardo, Andrea Nouryeh distingue cinque elementi principali che caratterizzano la performance: la body art, l'esplorazione dello spazio, del tempo, la rappresentazione autobiografica in cui l'artista racconta avvenimenti della propria vita e, infine, la cerimonia rituale.

La performance trova poi nell'elaborazione antropologica del teatro le strutture di ascendenza primitiva per veicolare la contestazione politica attraverso il ricorso ad un linguaggio subliminale che lega assieme vista e sguardo, artista e comunità, fenomeni sociali contemporanei e culture primitive superstiti. In seguito la performance viene influenzata sempre più dalla riflessione antropologica sul teatro, strutturando un training in grado di permettere all'attore di essere un performer, che azzera totalmente la soglia tra oggettivo e soggettivo, cioè tra estraniamento e immedesimazione, agendo per pura passione. 

Questa nuova primitiva realtà dell'attore diventa un potente veicolo per la trasmissione di ideologie ed architetture dello spazio scenico postmoderno. Il nuovo approccio del performer segna la frontiera tra tradizione e avanguardia e tra messa in scena e performance. L'attore rappresenta il proprio personaggio fingendo di non sapere di recitare a teatro. Il performer, invece, mette al centro il proprio io, rifiutando il testo tradizionale, preferendo agire su un copione da cui non può prescindere, presentandosi sul palcoscenico come una persona narrante, sentendo il bisogno di trasformare la performance in un rituale che possa contribuire a rendere il teatro un'esperienza viva per lo spirito.

La performance esplica ciò che la scena tradizionale contiene in sè, cioè quello scambio di relazioni tra attore e spettatore, che porta quest'ultimo ad attendere da chi recita modalità codificate e, per tanto, l'attore necessita del comportamento riflettente dello spettatore. Di conseguenza, l'intensità della performance rappresenta il fulcro dell'atto creativo dell'attore sciamano. Nella performance il testo ricalca principalmente ciò che accade all'interno dello spazio performativo, che ricomprende sia l'azione della performance sia quella del pubblico. Per questo motivo la sua trasmissione non può che appartenere certamente alla tradizione orale.

La successiva evoluzione teorica della performance è legata al The Performance Group (TPG) che nasce nel lontano 1967 come laboratorio universitario alla New York University, fondato e diretto da Richard Schechner che un anno dopo trasferisce l'attività del TPG al Performing Garage di Wooster Street, dove il gruppo lavora alla tragedia di Euripide Le Braccianti, rielaborata con il titolo Dionysus in 69. La riadattazione del testo euripideo diventa per Schechner un vero e proprio campo di battaglia dove l'uso di strumentazioni sceniche e la denuncia socio - politica si affrontano alla ricerca di un qualcosa di unico in grado di rivoluzionare teatro e società.

Oggi Richard Schechner è considerato uno fra i più importanti artisti di teatro del Novecento, nonchè uno fra i massimi teorici. A lui si devono i sei assiomi sul teatro ambientale che pongono enfasi su concetti come ampio spettro della performance, comportamento recuperato, intere sequenze performative, magnitudini della performance, entrati definitivamente nel discorso sulle arti performative. 

La scrittura di Schechner ripropone tali concetti attraverso il ricorso ad uno stile puramente incentrato sulla praticità della conoscenza. Lo dimostrano anche i numerosi articoli del suo libro "Il nuovo terzo mondo della performance" pubblicato da Bulzoni, tradotti in lingua italiana da vari docenti universitari e da giovani studiosi. In contrasto con le tendenze individualistiche dei suoi contemporanei, Richard Schechner trasforma ogni frase in uno strumento di lotta e di persuasione, a puro sostegno di un'arte sperimentale e radicale che sia davvero in grado di aiutare a creare una nuova estetica. 

Da lui, in particolare, gli appassionati di teatro portano nel proprio cuore questi suoi pensieri riportati nel libro "Magnitudini della Performance" pubblicato sempre dalla casa editrice Bulzoni di Roma, nella collana Biblioteca Teatrale:

"Gli sciamani e gli artisti sono persone allenate ai sogni: possono mettere a fuoco, tenerli a mente e riferirli. Il racconto può avvenire attraverso qualsiasi mezzo: parole, azioni, disegni, suoni. Le persone allenate ai sogni sono anche capaci di combinare liberamente le loro immagini di sogno con quello che ricevono dalla vita comune, dalla tradizione ed altre fonti. Mettere in scena sogni o memorie elaborate dai sogni, rompe violentemente le barriere tra il virtuale e reale, una barriera che gli animali non possono far altro che mantenere intatta. Tra gli esseri umani il "come sè" congiuntivo del sognare è trasformato per mezzo della performance nell'indicativo "è" dell'azione del corpo. E una volta che la barriera tra sognare e fare è spezzata, ogni specie di cose (concettuali, fantastiche ricordate) si sparge in tutte le sue direzioni. Il futuro del rituale è il continuo incontro tra immaginazione e memoria tradotto in azioni eseguibili per mezzo del corpo." (R. Schechner - Magnitudini della Performance, Roma, Bulzoni). 

 

 

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Coronavirus, dal 15 giugno riaprono i teatri italiani.

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Finalmente una bella notizia per il settore della cultura. Dal 15 giugno riaprono i sipari dei principali teatri italiani, garantendo un ampio palinsesto di iniziative ed attività ricreative per lo svago e il divertimento dei bambini, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza imposte dall'emergenza epidemiologica da Covid-19

Ad annunciare la notizia il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel corso della conferenza stampa svolta a Palazzo Chigi lo scorso sabato 16 maggio. Ma come e con quali restrizioni si potrà tornare ad assistere ad uno spettacolo teatrale? Negli spazi chiusi non potranno accedere più di 200 persone, mentre nei luoghi aperti 1000. Sarà obbligatoria la prenotazione online del posto a sedere, che verrà assegnato mantenendo un distanziamento di almeno un metro tra spettatori.

Sulla base di questo rigido protocollo quasi sicuramente alcuni spettacoli andranno rivisti e/o ripensati per evitare di avere un assembramento di attori sul palcoscenico, con il rischio di propagazione del Coronavirus. Tuttavia, c'è ancora un mese per prevedere le dovute contromisure, sperando che la situazione sanitaria possa continuare a migliorare, consentendo alle persone di ritornare a quella normalità che tanto sta mancando agli italiani in queste settimane di quarantena in casa. 

Nel frattempo, una certezza c'è: dal 15 giugno anche il mondo della cultura riparte dopo un lungo e prolungato pit stop che ha messo a dura prova uno dei settori cruciali per lo sviluppo del nostro Paese che genera circa un milione e mezzo di occupati, pari al 16% del PIL italiano. 

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La storia dei fratelli Bisaglia, vittime di trame ed intrighi politici.

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Una storia complicata, ricca di misteri e di situazioni inquietanti. Sono ancora molti gli enigmi e le domande senza risposta che colorano di giallo le morti dei due fratelli, Antonio Bisaglia, noto esponente della Democrazia Cristiana tra il 1972 e il 1980, morto il 24 giugno 1984 a Santa Maria Ligure, e don Mario il sacerdote trovato cadavere il 17 agosto 1992 nel Lago di Centro Cadore uno spicchio d'acqua artificiale situato in Cadore, tra gli abitanti di Pieve e Lozzo, in provincia di Belluno. Sino a poco tempo fa si associava la morte di queste due persone ad un destino infame e a volte crudele. Solo successivamente la Procura di Belluno, ha scoperto, dopo accurate analisi e rilievi eseguiti sul cadavere, che il prete non si è per nulla suicidato: in quelle acque ci finì già morto, forse soffocato.

Fu l'allora inquilino di Montecitorio Mario Borghezio, il primo a scuotere la testa davanti alla strana ricostruzione della vicenda. In un'interrogazione parlamentare, presentata in data 15 febbraio 1993 al Ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Battista Conso, il deputato ed europarlamentare della Lega Nord collegò la tragica fine dell'ex Ministro Antonio Bisaglia, avvenuta nel lontano 1984, a quella del fratello dello stesso, Don Mario Bisaglia, annegato nel 1992. Secondo Borghezio le due morti rappresentavano un quanto mai singolare caso d'inchieste svolte con accuratezza, senso del dovere e approfondimento non tanto dai competenti organi giudiziari del tempo, ma bensì da coraggiosi e scaltri giornalisti intesi ad oltrepassare, con amore di verità e pura coscienza professionale, il muro del silenzio che si era inevitabilmente eretto attorno alla tragica scomparsa dei due fratelli Bisaglia.

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI.

Era una domenica di giugno del 1984 quando il capo dei dorotei, parlamentare dal 1963 al 1979, tre volte ministro, morì all'età di 55 anni durante una consueta gita in barca a vela al lago di Portofino, in compagnia della moglie Romilda Bollati spostata appena un anno prima. La ricostruzione fornita dagli investigatori attribuì la colpa dell'accaduto ad un'improvvisa onda anomala. Fu proprio lo stesso Borghezio il primo a non crederci: numerosi indizi e particolari, quali ad esempio il singolare ritrovamento della bandiera dello yacht Rosalu di proprietà della moglie, e il numero effettivo di passeggeri che si trovavano effettivamente a bordo (mai chiarito), facevano intendere che il giallo di questa morte accidentale somigliasse piuttosto alla fine di Calvi che ad un normale incidente nautico. Questo spinse il parlamentare del Carroccio ad interrogarsi a lungo sul fatto che lo stesso magistrato inquirente sulla morte del senatore Bisaglia, il dottor Marcello D'Andrea, ammise di non aver ritenuto opportuno disporre un sopralluogo il giorno stesso del tragico fatto. Sulla morte del noto senatore non si diede pace nemmeno Don Mario Bisaglia, trovato cadavere nel Lago di Cadore. Il suo corpo restò in acqua per almeno due giorni. Nelle tasche dei pantaloni e sotto la maglietta del prete furono rinvenute delle pietre, dei sassi e perfino un foglietto contenente degli appunti. Nei calzini erano invece arrotolate 850 mila lire. Nel 2003 il Pubblico Ministero Raffaele Massaro riaprì l'indagine su questo misterioso suicidio. Dopo aver disposto la riesumazione della salma, si scoprì che nei suoi polmoni non c'era alcuna traccia delle tipiche alghe cadorine: insomma Don Mario non sarebbe morto per annegamento, ma piuttosto per soffocamento. Il suo corpo pare sia stato recuperato in fretta da un aereo militare italiano e la salma seppellita in cimitero senza nemmeno essere stata sottoposta ad autopsia. Per gli inquirenti il verdetto fu suicidio. Quello su cui si è certi è che il religioso aveva fin dall'inizio manifestato forti dubbi e perplessità sulla presunta morte del fratello Toni specie dopo che, tra la fine del 1991 e l'inizio del 1992, aveva espressamente raccontato di aver appreso da alcuni fedeli nel segreto della confessione, particolari estremamente importanti sulla sua scomparsa. Notizie ed informazioni che lo avevano profondamente turbato, tanto da voler cambiare radicalmente il proprio stile di vita. Don Mario comunque non si perse d'animo e mise subito al corrente alcuni suoi amici e conoscenti su quanto aveva scoperto sulla morte del fratello.

Su queste nuove basi il magistrato ritenne del tutto improbabile che Antonio Bisaglia si volle suicidare, lasciando aperta l'unica ipotesi alternativa a quella dell'incidente. A sostegno di questa tesi vennero acquisite anche diverse testimonianze: in particolare gli inquirenti posero particolare attenzione a quella di un amico del sacerdote al quale Don Mario aveva confidato, proprio il giorno prima della scomparsa, che l'indomani avrebbe avuto un incontro con alcune persone al quale teneva particolarmente, tanto da far spostare la celebrazione della messa del mattino alla Casa di Cura Città di Rovigo, pur di giungere in perfetto orario nel luogo dell'appuntamento.

Ma in tutta questa misteriosa e surreale vicenda spicca un'altra storia inquietante. Il suicidio di Gino Mazzolaio, l'ex cassiere di spicco della DC polesana, finito in carcere il 16 marzo 1993 nell'ambito dell'inchiesta condotta dal PM veneziano Carlo Nordio sugli appalti della Sanità Veneta, per la quale erano già state emesse 27 ordinanze di custodia cautelare e decine di avvisi di garanzia. Il corpo di Mazzolaio, scomparso il 23 aprile 1993, venne ritrovato una settimana dopo nelle acque dell'Adige, all'altezza di Anguillara Veneta un comune della provincia di Padova, conosciuto alle cronache per essere il paese originario della famiglia del presidente brasiliano Jair Bolsonero. 

Questo ennesimo caso di morte sospetta spinse il Procuratore della Repubblica Fabio Saracini a farsi consegnare dai colleghi di Chiavari il fascicolo relativo alla morte del senatore ed ex ministro democristiano Toni Bisaglia. Dopo un'attenta analisi e lettura degli atti, l'ipotesi del suicidio apparve sempre meno probabile. Inoltre il PM sostenne che Don Mario non aveva nessun motivo valido per porre fine alla sua vita: tant'è che aveva già programmato delle visite e degli impegni per i giorni successivi. Le ipotesi che potevano rimanere in piedi erano la disgrazia oppure l'omicidio. Pur riuscendo ad allungare l'inchiesta anche ad altre persone e coinvolgendo più città italiane, il 21 marzo 1997 le meticolose indagini avviate dalla magistratura di Belluno sulla morte di Don Mario Bisaglia si conclusero con l'archiviazione, decisa dal GIP Antonella Coniglio su richiesta del Procuratore Mario Fabbri, che sostituì saracini morto un anno prima.

Ma a dare una significativa svolta a questa oscura vicenda di cronaca nera ci pensò nel luglio 2003 un esposto in cui un cittadino, direttamente interessato ad un particolare della vicenda, fornì elementi che spinsero il PM Raffaele Massaro a riaprire l'indagine effettuando un nuovo esame autoptico sulla salma del sacerdote. La consulenza affidata a due diversi anatomopatologi, confermò che il decesso del prete non sarebbe avvenuto per annegamento, ma bensì per una forma di soffocamento provocata senza atti violenti. A conferma di questo l'assenza di diatomee nel fegato, nel midollo e, soprattutto, nei polmoni della vittima. Ma c'è di più: secondo gli investigatori l'omicidio di Mario Bisaglia poteva essere strettamente legato alla tragica fine del fratello. A far supportare quest'idea pare che il prete si stesse recando in Cadore per consegnare ad alcuni giornalisti documenti importanti che riguardavano la morte del fratello. Tuttavia non fu mai possibile risalire agli esecutori materiali o mandanti del delitto e, per tanto, nel 2007 l'inchiesta venne definitivamente archiviata. 

A riportare a galla questa storia assai complicata, ricca di misteri e di situazioni inquietanti, non poteva che essere il poliedrico attore e regista Roberto Faoro, nello spettacolo teatrale "Annegati di Terra. La storia dei fratelli Bisaglia", portato in scena per la prima volta il 18 ottobre 2014 al Teatro Comunale di Belluno in sinergia con la Città di Feltre e la Provincia di Belluno e coprodotto con TIB Teatro e l'Associazione Teatro del Cuore di Feltre e Belluno. 

Annegati di Terra racconta un'altro mistero inquietante e poco conosciuto della storia italiana: un intreccio di interessi politici, culturali e di numerosi scandali che non si conclude solo con la morte dei due fratelli Bisaglia, ma che miete vittime anche nello stesso entourage del potente ministro. Un valido esempio di teatro civile che si ispira al libro inchiesta "Gli Annegati" (1992 - Sperling & Kupfer) scritto a quattro mani dai giornalisti Carlo Brambilla e Daniele Vimercati. La storia dei Fratelli Bisaglia è stata anche divulgata attraverso un film realizzato da Faoro con il supporto del regista Federico Bertozzi, vincitore del premio Flaiano 2002 e Opera Estate nel 2004, che ha partecipato anche come attore alla grande stagione del teatro di narrazione collaborando con Gabriele Vacis, Mario Baliani e Laura Curino. Il testo di cui è autore Roberto Faoro lo scorso anno ha ricevuto la menzione speciale nella sezione Teatro al Premio Internazionale Salvatore Quasimodo.  

 

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La storia dello spazio teatrale, dagli albori ai giorni nostri.

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La storia della scenografia e dell'architettura teatrale non può essere compresa e raccontata senza fare riferimento ai generi, alle forme e ai principali eventi che hanno caratterizzato la storia del teatro italiano ed europeo. Questa disciplina si è rivelata un'importante cartina tornasole per il pubblico, quando spettacoli e rappresentazioni teatrali hanno cominciato ad includere sempre più cast numerosi, trame complesse e articolate e location diverse. All'inizio la scenografia consisteva in semplici e rudimentali sfondi di dipinti, ai quali gli oggetti di scena si sono aggiunti solo successivamente a partire dal Diciannovesimo secolo, per assumere maggiore rilevanza e importanza.

Con questo articolo voglio far compiere al lettore un viaggio alla scoperta della rappresentazione dello spazio scenico, che ha portato nel corso dei secoli alla nascita e allo sviluppo dei moderni edifici che oggi tutti noi conosciamo; luoghi sempre più funzionali e strutturati capaci di ospitare spettacoli teatrali o altri eventi culturali come concerti musicali, letture di poesie, workshop e conferenze, spettacoli di danza, allestimenti di opere liriche (teatro d'opera) e altri intrattenimenti.

DAGLI ALBORI ALLE ORIGINI: IL TEATRO GRECO

Prima dell'avvento della civiltà greca gli edifici teatrali progettati in quanto tali erano un numero esiguo: rientravano per lo più in questa categoria alcuni spazi dei palazzi della civiltà minoica, come ad esempio il cortile delle feste del Palazzo di Festo a Creta, caratterizzati da uno spazio circondato per tre lati da gradinate in grado di ospitare fino a cinquecento spettatori venuti ad assistere alle danze, alle cerimonie o alle tauromache, ovvero combattimenti fra leoni, o fra bovini e uomini molto simili per tipologia e modalità alla corrida spagnola.

Nell'antica Grecia l'edificio teatrale nella sua forma più matura, era principalmente composto da tre elementi: la Cavea nella quale erano disposte le gradinate con i sedili in legno per ospitare gli spettatori, solitamente addossate su un colle per sfruttare al meglio il pendio naturale; la scena disposta perpendicolarmente all'asse della cavea, dove avveniva l'azione teatrale. Inizialmente strutturata in maniera molto semplice e in legno, divenne con il tempo sempre più complessa e abbellita da colonne, nicchie e frontoni. In origine, la sua funzione era quella di fornire agli attori un luogo riservato e appartato dove potersi cambiare e preparare senza essere visti dal pubblico; ma ben presto viene utilizzata come sfondo scenico e, a partire dal 425 a.C., fu costruita in pietra e con maggiori ornamenti; l'orchestra, spazio centrale del teatro greco posto tra la cavea e la scena, dotato di corridoi laterali di accesso (parados) riservati al coro, dove al centro di essa era situato l'altare di Dionisio.

Il teatro greco era privo di copertura e, all'occorrenza, poteva avvalersi per la realizzazione di alcuni effetti scenici di rudimentali macchine per il sollevamento degli attori, di piattaforme scorrevoli e/o di svariate tipologie di congegni come quelli per la simulazione di fulmini e tuoni. L'odeon invece era una particolare costruzione destinata a concerti musicali e a spettacoli di recitazione al coperto di dimensioni molto inferiori al teatro, di forma quadrata con tetto in legno contenente una ripida gradinata ad archi circolari concentrici. Anche questa struttura era costruita su terreni in pendenza, affinchè il pubblico entrasse dall'alto e gli esecutori dal basso.

IL TEATRO NELL'ANTICA ROMA

La disposizione della scena nel teatro di epoca romana non si discostava di molto rispetto al mondo greco, se non per alcune variante architettoniche dovute al modificarsi delle varie rappresentazioni sceniche. In particolare lo spazio destinato all'architettura si fece sempre più ridotto a causa della minore importanza attribuita al coro nello spettacolo, trasformandosi in un'imponente fronte scena a più piani, ricca di statue e decorazioni di marmo, la cui altezza, pari a quella della cavea, permetteva di poter fissare in determinati casi un grande telone a copertura del teatro stesso, per ripararlo dalla pioggia o dall'eccessivo sole, migliorando notevolmente l'acustica. Dietro al fronte scena prese forma il post - scaenium, uno spazio riservato ad attori e macchinisti. Alle gradinate si accedeva attraverso le aperture dei Vomitoria che segnavano l'attribuzione di una prima gerarchia nella scelta dei posti a sedere, riservando i primi ai senatori e i rimanenti al resto del pubblico, in ordine d'importanza. Completavano l'allestimento un alto palcoscenico e un sipario, sconosciuto ai greci, che durante le rappresentazioni si abbassava in un apposito incavo.

I LUOGHI TEATRALI NEL MEDIOEVO

A partire dal V secolo la disapprovazione cristiana per gli spettacoli pagani provocò la sostanziale dismissione degli spazi teatrali, dando vita a trasformazioni architettoniche e a cambiamenti di destinazione spesso irreversibili. Di conseguenza il Medioevo è caratterizzato dalla mancanza di edifici teatrali appositamente costruiti e dalla decadenza di quelli romani, ma non dalla completa cessazione di ogni attività d'intrattenimento culturale. Nonostante la forte opposizione della Chiesa, rimaneva viva la tradizione dei giullari, giocolieri e menestrelli che proponevano per lo più rappresentazioni profane e grottesche durante il periodo di Carnevale, esibendosi su semplici banchetti allestiti in taverne, nelle piazze e strade della città. Solo i più fortunati venivano assunti nelle corti, oppure chiamati in specifiche ricorrenze o in occasioni di feste speciali. 

Le rappresentazioni medioevali si avvalevano di una pluralità di luoghi preesistenti quali ad esempio chiese, piazze, vicoli e strade. Inoltre per i drammi sacri che si svolgevano nei luoghi di culto esistevano una serie di zone deputate e particolarmente significative da un punto di vista simbolico, identificate da particolari strutture appositamente costruite come le Mansiones, baracche di sette o otto metri di altezza destinate a rappresentare location reali come monti o fiumi, oppure altri particolari e suggestivi luoghi come la Bibbia. Le architetture reali facevano da collante a palcoscenici per lo più caratterizzati dal susseguirsi di scene fisse, alle quali il pubblico assisteva al di là di una solida e robusta balaustra, in grado di garantire uno spazio completamente libero davanti alla scena. Con il passare del tempo le Mansiones (piccole case) si arricchiscono di botole, trabocchetti, gru e fumo allo scopo di poter simulare resurrezioni, cadute dall'inferno, voli di angeli ed altri effetti speciali.

IL TEATRO NEL PERIODO RINASCIMENTALE

Nel XVI secolo si assiste al progressivo passaggio da un luogo adibito progressivamente a sede di spettacoli (chiese, piazze, giardini, cortili, sale) all'edificio teatrale stabile. Tra la fine del Medioevo e il primo Rinascimento si registra altresì un sostanziale aumento d'interesse per il mondo del teatro, dovuto inizialmente al successo dello spettacolo religioso. In mancanza di una sede apposita, durante il periodo del Rinascimento cinquecentesco le rappresentazioni teatrali si svolgevano ancora in luoghi all'aperto, spesso nei cortili dei palazzi nobiliari i cui proprietari erano anche i principali fruitori, nonchè alle volte gli stessi attori e sceneggiatori. La scena essendo temporanea, era adagiata nel loggiato dei cortili, dove venivano usati particolari tendaggi che venivano aperti e chiusi durante gli ingressi e le uscite degli attori. 

Dopo la diffusione dello spazio prospettico e la creazione dei primi ambienti unitari, predisposti su appositi palcoscenici collocati in sale adibite allo svolgimento di feste durante cerimonie dinastiche o nell'ambito del Carnevale, si determinò, nel primo decennio del Cinquecento, una scena prospettica di città resa illusionisticamente alla giustapposizione di piani figurati in una prospettiva centrale (quinte e frontale), il cui punto di fuga era posto ad un'altezza che coincideva perfettamente con la visione del principe seduto al centro della sala. Di conseguenza, gli spettatori potevano essere disposti in due differenti modalità: o con una gradinata collocata di fronte al palcoscenico o con tribune laterali per le donne e panche centrali per gli uomini con un palco sopraelevato per la principale autorità della festa. 

Sul finire del secolo la scenografia trova, sul piano teorico una codificazione nelle tre scene prospettiche (comica, tragica, satirica), mentre sul piano della pratica costruttiva trovano la loro grande realizzazione monumentale permanente in legno della scena del Teatro Olimpio di Vicenza abozzata da Andrea Palladio autore della cavea del teatro, realizzata da Vincenzo Scamozzi dopo la morte del maestro. La scenografia subisce una lenta evoluzione, grazie ai primi tentativi di introdurre la prospettiva e con la presenza di scene sia mobili che fisse. Per ovviare alla presenza di macchinari sempre più voluminosi, viene introdotta l'idea del retro palco.

IL TEATRO ALL'ITALIANA TRA SEICENTO E OTTOCENTO.

A cavallo tra il Seicento e il Settecento nascono i primi teatri gestiti da privati ai quali è possibile accedere previo pagamento dei bollettini. Questa grande novità segna la fruizione dello spettacolo ad un pubblico più vasto e popolare. L'avvento dei primi teatri pubblici sconvolse anche i percorsi spettacolari delle città al tempo del barocco, in particolare a Venezia dove alcune famiglie nobiliari si fecero portavoce della gestione di queste strutture nuove e redditizie. L'Ottocento mantenne invariata la concezione architettonica dell'impianto teatrale, mutando da secoli precedenti la sala all'italiana a ferro di cavallo e ordini di pacchetti, visibile ad esempio al San Carlo di Napoli, al Teatro Massimo di Palermo e al Teatro alla Scala di Milano

Fu proprio in questa particolare epoca storica, che le principali innovazioni di carattere tecnologico diedero un forte impulso al perfezionamento dell'apparato scenico; l'utilizzo dell'energia idraulica prima e di quella elettrica poi favorirono lo sviluppo di soluzioni più agevoli per il movimento dei macchinari, ma anche e soprattutto per lo spostamento di scene già montate su palcoscenici mobili.

IL TEATRO DEL NOVECENTO

Con l'inizio del nuovo secolo l'edificio teatrale tradizionale inizia ad entrare in crisi, manifestando tutta la sua inadeguatezza a rappresentare nuovi contenuti. Le nuove sperimentazioni spaziali mirano fin da subito a dotare di maggiore flessibilità l'edificio, arrivando in alcune occasioni all'abolizione della divisione fisica tra spettatore ed attore rappresentata dal boccascena, volendo rappresentare un ritorno verso gli antichi modelli del teatro greco che, senza arco scenico, permettevano di poter avere lo spettatore nel mezzo dell'azione drammatica. 

Verso la seconda metà del secolo gli architetti non si concentrarono più sulla progettazione di edifici prettamente teatrali, ma diedero maggiore enfasi e importanza alla costruzione di strutture sempre più multifunzionali, in grado di unire assieme sale teatrali, cinematografiche, musei, biblioteche, sale riunioni e ristoranti. E' questo il caso dell'Opera House di Sydney, della Casa della Cultura di Grenoble e del Barbican Arts Centre di Londra.  

 

 

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