La storia di Vallesella, il paese che non esiste più.
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La storia di Vallesella e dei suoi abitanti è una vicenda realmente accaduta e poco nota all'opinione pubblica anche se è una delle storie più clamorose che hanno caratterizzato il secolo scorso nella Provincia di Belluno, assieme alla vergognosa tragedia del Vajont e ai Delitti di Alleghe.
Tutto ebbe inizio nel 1949 con l'avvio dei lavori di costruzione della diga di Sottocastello nel Comune di Pieve di Cadore. Una grande opera di sbarramento realizzata su progetto dell'allora Società Adriatica di Elettricità (S.A.D.E.) la cui politica nella grave situazione dell'imminente dopoguerra, prevedeva anche il ricorso all'utilizzo delle risorse idriche dell'alto bacino del Piave, per la produzione dell'energia elettrica.
Nonostante l'acclamato pericolo di cedimenti sotterranei dovuti alla particolare conformazione del sottosuolo di Vallesella, appena un anno dopo un grande e profondo lago artificiale copriva con 64 milioni di metri cubi d'acqua, la Vallata del Centro Cadore.
E' proprio in questo periodo che incominciano a verificarsi i primi malumori e problemi per gli abitanti di Vallesella, frazione del Comune di Domegge di Cadore collocata sulla destra orografica del Piave, incorniciata da estesi e ondulati pendii che iniziavano a contraddistinguersi per attività e intraprendenza. Con le imminenti operazioni di riempimento della riserva d'acqua, oltre una decina di abitazioni si lesionarono e, alcune di queste, vennero dichiarate inagibili, mentre nella piazza di Villagrande apparvero delle profonde spaccature al suolo.
Non appena appurato e constatato dal Genio Civile di Belluno lo stato di pericolosità in cui versavano i luoghi e le principali strutture abitative e commerciali, si costituirà nel mese di giugno dello stesso anno il Comitato Danneggiati, che presentò spontaneamente alla S.A.D.E. una richiesta di risarcimento economico del valore di 100 milioni di vecchie lire, per coprire la spesa degli interventi di messa in sicurezza più urgenti. La società corse subito ai ripari, sostenendo che si trattava per lo più di smottamenti provocati da erosioni o fenomeni naturali da addebitare direttamente allo Stato, tramite il ricorso all'erogazione di fondi speciali già esistenti per casi analoghi.
Con il passare degli anni la situazione non migliorò; i danni, le preoccupazioni e i guasti si aggravarono notevolmente, ma nonostante tutto la Società Adriatica di Elettricità continuò imperterrita a respingere a spada tratta le sue reali responsabilità, offrendo alla comunità di Vallesella un indennizzo di 50 milioni che, per ovvie ragioni, non fu accolto dagli abitanti lesionati.
E così si arrivò al 1960 con una situazione ancora perennemente irrisolta sia per quanto riguardava la stabilità degli edifici, che per l'assegnazione di ogni colpa da parte della S.A.D.E. Nonostante il perdurare dei problemi e del clima d'incertezza, gli abitanti non si vollero dare per vinti e, nel corso dei primi anni'60, si assistette al dilatarsi delle attività economiche e manifatturiere locali, a Vallesella e nelle zone circostanti.
Il piccolo paese che allora contava circa 800 residenti, nonostante le continue vicissitudini legate ai dissesti idrogeologici causati dall'invaso, non si arrese e presto le aziende iniziarono a proliferare dando sostegno e lavoro a molti operari, arrivando a raggiungere l'ambito traguardo di essere il paese più industrializzato del Cadore, se rapportato al numero di abitanti. Ma si attendeva ancora dal Governo un intervento risolutivo riguardo il problema delle abitazioni.
Con un decreto del 14 marzo 1963 si trasferirono all'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica (ENEL) la proprietà dei beni immobili e la competenza in possesso prima alla S.A.D.E. Da questo momento la gente iniziò a sperare che la situazione potesse migliorare, ma il sogno durò poco.
Nella notte del 09 ottobre 1963 avvenne il disastro del Vajont, una terribile tragedia che a Longarone causò la morte di quasi duemila persone, a causa dello scivolamento del monte Toc nel bacino artificiale.
Subito nei volti delle persone si ripresentò la paura; ormai gli abitanti di Vallesella erano sempre più avviliti e stufi delle promesse verbali non mantenute dai politici locali e nazionali, ma allo stesso tempo fermamente convinti che quanto avvenuto nel vicino Comune di Longarone, poteva accadere anche nel loro paese, costituito da un labirinto di caverne le cui pareti potevano cedere da un momento all'altro.
Un primo spiraglio di luce avvenne nel 1965 quando la Commissione Arbitrale nominata dal Ministero, sembrava aver risolto il contezioso con l'Ente Elettrico di Stato, operando al contempo per definire il piano destinato al recupero delle abitazioni. Finalmente l'era della ricostruzione sembrava arrivata, anche se accolta dallo scontento generale per gli accordi con la società di Stato, che si dichiarò colpevole per la quota del 75% del danno arrecato e, di conseguenza, la relativa liquidazione risultava pari ai tre quarti del valore della proprietà lesionata.
Un anno dopo la disastrosa alluvione del 1966 causò ingenti danni alla vallata cadorina, i paesi del Comelico furono colpiti duramente dalla furia delle acque del Piave e degli affluenti minori, le comunicazioni viarie furono interrotte. Vallesella venne nuovamente invasa dall'ennesima valanga di fango e detriti, con il rischio di tracimazione oltre la quota rappresentata dal coronamento della diga.
Nonostante le ennesime difficoltà, si riprese una nuova trattativa con l'Ente Elettrico Nazionale, ma dopo sedici anni i nuovi edifici costruiti erano appena ventinove. Restavano ancora da analizzare i casi più difficili, ovvero quelli legati alle residenze di piccoli proprietari terrieri o di persone anziane a basso reddito, alle quali il controvalore del 75% e la conseguente svalutazione dell'immobile, non consentiva di poter realizzare praticamente nulla.
Nello sconforto più generale, l'inevitabile conseguenza del protrarsi di questi continui ritardi ed incertezze generali nella ristrutturazione degli edifici urbani, comportò lo spopolamento del piccolo borgo, con la definitiva scomparsa del paese distruggendo, di fatto, l'agglomerato sociale originario generando una condizione di paese fantasma.
Solamente nel 1999 si è arrivati alla conclusione di questa lunga odissea, grazie alla predisposizione di un progetto di ricomposizione ambientale portato avanti dall'Amministrazione Comunale di Domegge di Cadore, guidata dall'allora Sindaco Falminio Da Deppo in collaborazione con l'ENEL, che ha portato alla trasformazione del vecchio paese in un'area verde adibita a parco, con l'annessa vicinanza degli impianti sportivi.
In tempi recenti questa triste e dolorosa vicenda della scomparsa di Vallesella, è stata riportata alla ribalta dal prezioso e costante lavoro dell'eclettico attore, drammaturgo, regista e formatore feltrino Roberto Faoro con l'opera "Animo! La storia di Vallesella il paese che sparì", una trasposizione teatrale scritta in collaborazione con Claudia De Mario componente dell'Associazione Culturale La Fontana Conta e abitante di Vallesella, basata sulla raccolta di testimonianze dirette, ricerche d'archivio, articoli di giornale e quanto potesse essere d'aiuto per ridare la giusta consistenza a un tragico fatto finito nell'oscurità, lasciato indietro.
Lo spettacolo ha visto negli anni un susseguirsi di repliche in Provincia di Belluno, tra cui una anche all'aperto proprio dove un tempo sorgevano le case di Vallesella, alla presenza di oltre 600 spettatori commossi e degli operatori di Telebelluno, che hanno trasmesso il filmato in varie occasioni.
Questa rappresentazione teatrale è stata altresì il volano per la stesura del docu - libro "Il Paese che non c'è più. La storia di Vallesella fra gli anni'50 e '90. Ricordi e testimonianze di vita", scritto da Roberto Faoro e da Claudia De Mario, con il supporto dell'Editor Vania Russo e del giornalista del Gazzettino e scrittore Giannandrea Mencini, al solo scopo di far riflettere i lettori sull'importanza che riveste oggi il profondo senso di appartenenza ad un territorio, caratterizzato da un forte tessuto sociale che nel sistema di relazioni incide e contribuisce a fare la differenza nella formazione di ogni singolo individuo e, quindi, alla relativa crescita della società.
Un importante lavoro che ha coinvolto anche i ragazzi della seconda e terza media dell'Istituto Comprensivo di Domegge di Cadore, con l'obiettivo di lasciare una testimonianza di quanto realmente accaduto, rendendo giustizia alle voci dei protagonisti di allora senza demonizzare nessuno, ma allo stesso tempo cercando di non sottrarsi a domande alle volte anche scomode, che attendono una risposta anche se non sono di certo le uniche in Italia.