I delitti di Alleghe alla radio con l'attore Roberto Faoro.

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Il mistero avvolge la Provincia di Belluno! Alleghe è una rinomata località turistica baciata da un'incantevole cornice naturale, immersa sulle Dolomiti Bellunesi

Questo piccolo paese montano è stato teatro di un'oscura vicenda delittuosa, che racchiude in sè i meccanismi tipici e le dinamiche più inquietanti della cronaca nera. Una lunga sequenza di morti distribuite su un arco temporale lungo ben tredici anni, archiviate dalla magistratura italiana nelle maniere più fantasiose che, grazie alla curiosità, lungimiranza e intraprendenza di Sergio Saviane prima e di un rampante carabiniere poi, è stata portata faticosamente alla luce. Questi casi, a piena ragione, sono tuttora etichettati come "I Misteri di Alleghe"

Per la prima volta nella storia del libro I Misteri di Alleghe grazie a Radio Più, a Mirko Mezzacasa e alla voce di Roberto Faoro la voce di Saviane raggiunge Alleghe, entra nelle case, libera, senza ostacoli dove a distanza di oltre 50 anni non è ancora possibile portare lo spettacolo teatrale.

In questo modo diamo il diritto di scegliere alla popolazione, di ascoltare liberi. Questa è la meraviglia della radio, un bene prezioso per la collettività a tutto campo, dalla cultura all'informazione.

Un atto d'amore nei confronti del grande giornalista e di questo incredibile libro, di questa incredibile storia, unica al mondo e non solo per la cronaca nera, ma soprattutto per il coraggio dimostrato da tanti protagonisti senza i quali Saviane non avrebbe potuto raccontare nulla.

Le musiche sono di Antonio Fiabane, al pianoforte Mambrini. 

Ascolta i podcast delle puntate, cliccando sul seguente link: 

www.radiopiu.net/wordpress/i-misteri-di-alleghe-di-sergio-saviane-alla-radio-con-lattore-roberto-faoro-il-podcast/

 

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La storia di Vallesella, il paese che non esiste più.

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La storia di Vallesella e dei suoi abitanti è una vicenda realmente accaduta e poco nota all'opinione pubblica anche se è una delle storie più clamorose che hanno caratterizzato il secolo scorso nella Provincia di Belluno, assieme alla vergognosa tragedia del Vajont e ai Delitti di Alleghe

Tutto ebbe inizio nel 1949 con l'avvio dei lavori di costruzione della diga di Sottocastello nel Comune di Pieve di Cadore. Una grande opera di sbarramento realizzata su progetto dell'allora Società Adriatica di Elettricità (S.A.D.E.) la cui politica nella grave situazione dell'imminente dopoguerra, prevedeva anche il ricorso all'utilizzo delle risorse idriche dell'alto bacino del Piave, per la produzione dell'energia elettrica. 

Nonostante l'acclamato pericolo di cedimenti sotterranei dovuti alla particolare conformazione del sottosuolo di Vallesella, appena un anno dopo un grande e profondo lago artificiale copriva con 64 milioni di metri cubi d'acqua, la Vallata del Centro Cadore. 

E' proprio in questo periodo che incominciano a verificarsi i primi malumori e problemi per gli abitanti di Vallesella, frazione del Comune di Domegge di Cadore collocata sulla destra orografica del Piave, incorniciata da estesi e ondulati pendii che iniziavano a contraddistinguersi per attività e intraprendenza. Con le imminenti operazioni di riempimento della riserva d'acqua, oltre una decina di abitazioni si lesionarono e, alcune di queste, vennero dichiarate inagibili, mentre nella piazza di Villagrande apparvero delle profonde spaccature al suolo. 

Non appena appurato e constatato dal Genio Civile di Belluno lo stato di pericolosità in cui versavano i luoghi e le principali strutture abitative e commerciali, si costituirà nel mese di giugno dello stesso anno il Comitato Danneggiati, che presentò spontaneamente alla S.A.D.E. una richiesta di risarcimento economico del valore di 100 milioni di vecchie lire, per coprire la spesa degli interventi di messa in sicurezza più urgenti. La società corse subito ai ripari, sostenendo che si trattava per lo più di smottamenti provocati da erosioni o fenomeni naturali da addebitare direttamente allo Stato, tramite il ricorso all'erogazione di fondi speciali già esistenti per casi analoghi. 

Con il passare degli anni la situazione non migliorò; i danni, le preoccupazioni e i guasti si aggravarono notevolmente, ma nonostante tutto la Società Adriatica di Elettricità continuò imperterrita a respingere a spada tratta le sue reali responsabilità, offrendo alla comunità di Vallesella un indennizzo di 50 milioni che, per ovvie ragioni, non fu accolto dagli abitanti lesionati.

E così si arrivò al 1960 con una situazione ancora perennemente irrisolta sia per quanto riguardava la stabilità degli edifici, che per l'assegnazione di ogni colpa da parte della S.A.D.E. Nonostante il perdurare dei problemi e del clima d'incertezza, gli abitanti non si vollero dare per vinti e, nel corso dei primi anni'60, si assistette al dilatarsi delle attività economiche e manifatturiere locali, a Vallesella e nelle zone circostanti. 

Il piccolo paese che allora contava circa 800 residenti, nonostante le continue vicissitudini legate ai dissesti idrogeologici causati dall'invaso, non si arrese e presto le aziende iniziarono a proliferare dando sostegno e lavoro a molti operari, arrivando a raggiungere l'ambito traguardo di essere il paese più industrializzato del Cadore, se rapportato al numero di abitanti. Ma si attendeva ancora dal Governo un intervento risolutivo riguardo il problema delle abitazioni. 

Con un decreto del 14 marzo 1963 si trasferirono all'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica (ENEL) la proprietà dei beni immobili e la competenza in possesso prima alla S.A.D.E.  Da questo momento la gente iniziò a sperare che la situazione potesse migliorare, ma il sogno durò poco.

Nella notte del 09 ottobre 1963 avvenne il disastro del Vajont, una terribile tragedia che a Longarone causò la morte di quasi duemila persone, a causa dello scivolamento del monte Toc nel bacino artificiale. 

Subito nei volti delle persone si ripresentò la paura; ormai gli abitanti di Vallesella erano sempre più avviliti e stufi delle promesse verbali non mantenute dai politici locali e nazionali, ma allo stesso tempo fermamente convinti che quanto avvenuto nel vicino Comune di Longarone, poteva accadere anche nel loro paese, costituito da un labirinto di caverne le cui pareti potevano cedere da un momento all'altro.

Un primo spiraglio di luce avvenne nel 1965 quando la Commissione Arbitrale nominata dal Ministero, sembrava aver risolto il contezioso con l'Ente Elettrico di Stato, operando al contempo per definire il piano destinato al recupero delle abitazioni. Finalmente l'era della ricostruzione sembrava arrivata, anche se accolta dallo scontento generale per gli accordi con la società di Stato, che si dichiarò colpevole per la quota del 75% del danno arrecato e, di conseguenza, la relativa liquidazione risultava pari ai tre quarti del valore della proprietà lesionata.

Un anno dopo la disastrosa alluvione del 1966 causò ingenti danni alla vallata cadorina, i paesi del Comelico furono colpiti duramente dalla furia delle acque del Piave e degli affluenti minori, le comunicazioni viarie furono interrotte. Vallesella venne nuovamente invasa dall'ennesima valanga di fango e detriti, con il rischio di tracimazione oltre la quota rappresentata dal coronamento della diga. 

Nonostante le ennesime difficoltà, si riprese una nuova trattativa con l'Ente Elettrico Nazionale, ma dopo sedici anni i nuovi edifici costruiti erano appena ventinove. Restavano ancora da analizzare i casi più difficili, ovvero quelli legati alle residenze di piccoli proprietari terrieri o di persone anziane a basso reddito, alle quali il controvalore del 75% e la conseguente svalutazione dell'immobile, non consentiva di poter realizzare praticamente nulla.

Nello sconforto più generale, l'inevitabile conseguenza del protrarsi di questi continui ritardi ed incertezze generali nella ristrutturazione degli edifici urbani, comportò lo spopolamento del piccolo borgo, con la definitiva scomparsa del paese distruggendo, di fatto, l'agglomerato sociale originario generando una condizione di paese fantasma. 

Solamente nel 1999 si è arrivati alla conclusione di questa lunga odissea, grazie alla predisposizione di un progetto di ricomposizione ambientale portato avanti dall'Amministrazione Comunale di Domegge di Cadore, guidata dall'allora Sindaco Falminio Da Deppo in collaborazione con l'ENEL, che ha portato alla trasformazione del vecchio paese in un'area verde adibita a parco, con l'annessa vicinanza degli impianti sportivi. 

In tempi recenti questa triste e dolorosa vicenda della scomparsa di Vallesella, è stata riportata alla ribalta dal prezioso e costante lavoro dell'eclettico attore, drammaturgo, regista e formatore feltrino Roberto Faoro con l'opera "Animo! La storia di Vallesella il paese che sparì", una trasposizione teatrale scritta in collaborazione con Claudia De Mario componente dell'Associazione Culturale La Fontana Conta e abitante di Vallesella, basata sulla raccolta di testimonianze dirette, ricerche d'archivio, articoli di giornale e quanto potesse essere d'aiuto per ridare la giusta consistenza a un tragico fatto finito nell'oscurità, lasciato indietro. 

Lo spettacolo ha visto negli anni un susseguirsi di repliche in Provincia di Belluno, tra cui una anche all'aperto proprio dove un tempo sorgevano le case di Vallesella, alla presenza di oltre 600 spettatori commossi e degli operatori di Telebelluno, che hanno trasmesso il filmato in varie occasioni. 

Questa rappresentazione teatrale è stata altresì il volano per la stesura del docu - libro "Il Paese che non c'è più. La storia di Vallesella fra gli anni'50 e '90. Ricordi e testimonianze di vita", scritto da Roberto Faoro e da Claudia De Mario, con il supporto dell'Editor Vania Russo e del giornalista del Gazzettino e scrittore Giannandrea Mencini, al solo scopo di far riflettere i lettori sull'importanza che riveste oggi il profondo senso di appartenenza ad un territorio, caratterizzato da un forte tessuto sociale che nel sistema di relazioni incide e contribuisce a fare la differenza nella formazione di ogni singolo individuo e, quindi, alla relativa crescita della società.

Un importante lavoro che ha coinvolto anche i ragazzi della seconda e terza media dell'Istituto Comprensivo di Domegge di Cadore, con l'obiettivo di lasciare una testimonianza di quanto realmente accaduto, rendendo giustizia alle voci dei protagonisti di allora senza demonizzare nessuno, ma allo stesso tempo cercando di non sottrarsi a domande alle volte anche scomode, che attendono una risposta anche se non sono di certo le uniche in Italia. 

 

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Alleghe, una lunga scia di sangue scuote le Dolomiti Bellunesi.

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Nella piazza principale di Alleghe un paese situato nel cuore delle Dolomiti Bellunesi, esisteva l'Albergo Centrale, di proprietà della famiglia Da Tos: è proprio attorno a questo storico edificio che ruotano i protagonisti di un'atroce e incredibile storia di cronaca nera, realmente accaduta, che ha scosso per diversi anni la vita degli abitanti di questa rinomata località turistica di montagna. Fiore Da Tos un povero bracciante agricolo sposa per mero interesse la proprietaria dell'albergo Elvira Riva. Dopo il matrimonio la coppia ha due figli: Adelina la più grande d'età che lavora nella struttura di famiglia, moglie di Pietro De Biasi, e il figlio più piccolo Aldo titolare della macelleria all'angolo della piazza.

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI

Tutto ebbe inizio la mattina del 9 maggio 1933. Alle 11:30 la tranquillità di questa splendida città in Provincia di Belluno venne sconvolta dal frastuono delle incessanti urla di disperazione di Adelina che, alquanto scossa e turbata, chiedeva aiuto in strada per la collega e cameriera Emma De Ventura che si era tagliata la gola con un rasoio nella sua camera d'albergo. La notizia si diffuse a macchia d'olio nel piccolo paese dove un tempo si conoscevano tutti. Avventori, curiosi e gli stessi clienti erano addolorati e sconvolti all'arrivo delle forze dell'ordine, del medico legale e delle altre autorità civili e militari incluso il segretario politico del Fascio Raniero Massi. Dopo una prima sommaria ricostruzione emerse che la giovane ragazza si fosse tolta la vita ingerendo della tintura di iodio, dopo aver avuto forti dolori al corpo che la spinsero velocemente a suicidarsi, con un unico e profondo fendente. Un'esecuzione da perfetto manuale se non fosse che più di una persona fece notare agli inquirenti come il flacone di veleno si trovasse appoggiato su una mensola della camera, mentre il rasoio era chiuso in un armadio riposto ad almeno sei passi di distanza dalla vittima, che riversava in posizione supina sul pavimento in una pozza di sangue. La stessa autopsia rivelò la presenza di alcune tracce di tintura nello stomaco di Emma e, nonostante le evidenze, le autorità confermarono la tesi del suicidio e l'archiviazione del caso. 

Un'altro episodio alquanto strano e all'apparenza misterioso si verificò il 4 dicembre del 1933. Il freddo pungente di quei giorni aveva ghiacciato le acque del lago di Alleghe. Fu così che due ragazzini decisero di approfittarne per andare a pattinare. Non fecero in tempo di avvicinarsi all'imbarcadero che uno dei due notò subito qualcosa che sporgeva in una parte del lago risparmiata dal gelo. Incuriosito il bambino si avvicinò, notando il cadavere di una donna. Anche in quest'occasione la gente del paese non tardò ad arrivare sul posto; tra i tanti curiosi spettatori c'era anche Pietro De Biasio, marito di Adelina Da Tos, che da lontano riconobbe che la vittima era Carolina Finazzer, novella sposa di Aldo Da Tos, il figlio minore dei proprietari dell'Albergo Centrale. I due, proprio il giorno precedente, decisero inaspettatamente di interrompere il viaggio di nozze per richiesta di Carolina che, rientrata visibilmente turbata in città, pareva dovesse avere un'imminente incontro con sua madre di li a poche ore. Gli investigatori avanzarono per la seconda volta l'ipotesi del suicidio, sostenuto dal fatto che la donna soffrisse di una forte depressione e di sonnambulismo. Questa tesi non convinse per nulla gli stessi familiari della vittima, che fecero notare alcune evidenti incongruenze come il ventre trovato privo d'acqua al suo interno, i denti stretti e la presenza di lividi sul collo della ragazza. Anche il medico condotto notò quei segni ma non volle soffermarsi più di tanto ad esaminarli, sostenendo che quelle tracce potevano essere riconducibili a delle macchie dovute ad un inizio di putrefazione. Una cosa che sembrò alquanto strana e priva di fondamento a tutti, visto che Carolina venne ritrovata solamente poche ore dopo la sua morte e, per di più, immersa nelle acque gelide del lago. Ma anche in questa circostanza nessuno volle indagare ulteriormente: anche Carolina Finazzer si suicidò. Caso chiuso.

Il paese sembrò presto tornare alla sua solita normalità: dall'ultimo delitto passarono ben tredici anni, fino a che successe nuovamente qualcosa di inaspettato. Era la notte del 18 novembre 1946 e Luigi Del Monego assieme alla moglie Luigina De Toni, conosciuti da tutti come Gigio e la Balena, allo scoccare della mezzanotte avevano chiuso le porte del circolo Enal e si apprestavano a far rientro a casa in prossimità del Vicolo La Voi. Improvvisamente si udirono due spari ravvicinati: i due coniugi vennero freddati a poca distanza uno dall'altro. Nessuno in paese sembrò sentire rumori quella notte. I due corpi vennero ritrovati all'alba della mattina successiva da Angelo De Toffol, fruttivendolo e cognato della Balena. Anche questo venne ritenuto un caso all'apparenza molto semplice e scontato, dato che dalla borsetta della signora era stato rubato l'incasso della serata: le conclusioni furono rapina a carico di ignoti. Nei giorni seguenti vennero anche fermati alcuni indiziati tra cui Luigi Verocai, un latitante evaso dal carcere prima della condanna in contumacia per un'altro omicidio, che però venne rilasciato per mancanza di prove a suo carico. Ovviamente anche in questo delitto le cose non tornavano: gli spari erano stati simultanei ma i cadaveri si trovavano distanti tra loro, dando l'ipotesi di un agguato piuttosto che di una rapina. Altro caso chiuso senza indagare a fondo.

Due suicidi e altrettanti omicidi a scopo di rapina: ecco i delitti di Alleghe che vennero sussurrati da tante persone del paese, ma che al tempo stesso rimasero inespressi a lungo nella bocca degli abitanti per paura di ritorsioni, fino a quando Sergio Saviane, giovane aspirante giornalista con un trascorso di gioventù ad Alleghe, apprese la notizia dalla stampa locale di quest'ultimo assassinio, decise di iniziare a far luce su questi oscuri fatti di cronaca. Saviane si fece presto convinto che i delitti fossero tra loro collegati e compiuti da una stessa mano: ma quale? Fu proprio il suo amico barbiere, Bepi Checchini, a persuaderlo ad indagare più a fondo e a scrivere delle memorie per far conoscere queste tristi e misteriose vicende di cronaca giudiziaria.

Il 13 aprile 1952 venne pubblicato l'articolo "La Montelepre del Nord" a firma Saviane che ipotizzava l'esistenza di un filo che collegava le morti di Emma De Ventura la giovane cameriera dell'Albergo Centrale, della cognata della titolare Carolina Finazzer e dei due coniugi gestori del bar con un esplicito riferimento all'omertà degli abitanti per paura di subire minacce o ritorsioni. Nel dicembre dello stesso anno Saviane venne citato in giudizio per diffamazione, che gli costò otto mesi di reclusione, il pagamento delle spese processuali e un cospicuo risarcimento economico alla famiglia De Tos per danni morali. Dopo questo duro affronto sembrava che su Alleghe fosse arrivato il fatidico momento per chiudere nuovamente il sipario, lasciando che il trascorrere del tempo dissipasse ogni ombra su questa vicenda. Ma non fu così; l'articolo attirò l'attenzione di Enzo Cesca il giovane brigadiere della stazione dei carabinieri di Agordo, che assieme al comandante il maresciallo Domenico Uda riaprirono le indagini sotto copertura. 

Il brigadiere, un volto non ancora conosciuto in paese, si recò in incognito ad Alleghe, trovando lavoro come operaio. Frequentando le osterie del centro riuscì a raccogliere degli ulteriori elementi investigativi. In giro si raccontava che i coniugi Del Monego vennero uccisi per aver visto troppo da Giuseppe Gasperin; Cesca riuscì a conoscerlo e proprio quest'ultimo gli confidò che nel Vicolo La Voi abitava una signora, Carolina Valt, che poteva sapere qualcosa in più sull'omicidio della coppia. Per arrivare alla Valt, il brigadiere si fidanzò con la nipote e, dopo aver conquistato la fiducia di Carolina, l'anziana donna gli rivelò che la notte del delitto aveva visto tre individui nel vicolo, uno dei quali era proprio Giuseppe Gasperin. A seguito di questa rivelazione, l'uomo venne convocato in caserma e, di lì a poco, arrestato. Gasperin rivelò i nomi dei responsabili degli altri atroci delitti portando, nel 1958, in carcere Pietro De Biasio, il marito di Adelina, Aldo Da Tos e, pochi mesi dopo, anche la stessa Adelina accusata di aver ucciso la giovane cameriera dell'Albergo Centrale. La magistratura ritenne che Carolina Finazzer fosse stata strangolata da Pietro De Biasio, con l'aiuto dei fratelli Da Tos, perchè durante il viaggio di nozze il marito le aveva accennato dell'omicidio di Emma De Ventura e lei non aveva reagito bene, dando segni di paura, e così i Da Tos decisero di farla fuori. I coniugi Del Magro vennero uccisi perchè la notte del 4 dicembre 1933, avevano visto Aldo portare in spalle il corpo della moglie morta verso il lago e, a distanza di ben tredici anni dall'accaduto Aldo De Tos, Pietro De Biasio e Giuseppe Gasperin posero fine alla loro esistenza.

IL PROCESSO

L'8 giugno 1960, la Corte d'Assise di Belluno, riconobbe colpevoli Aldo e Adelina Da Tos e Pietro De Biasio, condannandoli alla pena dell'ergastolo. Aldo e Pietro furono ritenuti gli esecutori della morte di Carolina Finazzer e dei coniugi Del Monego, mentre Adelina solo della morte di questa donna in quanto l'omicidio di Emma De Ventura era caduto in prescrizione. Giuseppe Gasperin venne condannato a trent'anni di galera di cui sei gli furono condonati per aver contribuito, con la sua confessione, all'arresto degli altri responsabili. Durante il processo d'appello nel 1964 anche i Da Tos e De Biasio confessarono di essere gli esecutori materiali dei delitti, ma le loro pene vennero anche confermate dalla Corte di Cassazione, il 4 febbraio 1964. Aldo e Pietro morirono in carcere, mentre Adelina venne graziata nel 1981 dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, morendo nel 1988. 

Ma sui misteri di questi anni di terrore non tutto è stato ancora svelato: cosa avesse visto per meritare di morire la cameriera Emma De Ventura, rimane nel silenzio. Cosa avesse raccontato Aldo Da Tos alla neosposa Carolina Finazzer, rimane un mistero pure quello; di questa storia rimane solo il suo corpo ritrovato nel lago, strangolato altrove. Infine fu una pistola a chiudere per sempre la bocca ai coniugi Del Monego, con l'unica colpa di aver visto troppo quella fatidica sera. 

In questa storia piena di ombre, molti furono quelli che preferirono ascoltare solo poche voci; oppure nessuna. Sergio Saviane no. Lui le ascoltò tutte riportandole nel libro I Misteri di Alleghe (Mondadori per Pilotto - 1964). E per questo, oggi, grazie al suo prezioso e instancabile giornalismo d'inchiesta questa triste e agghiacciante vicenda può continuare ad essere letta e raccontata, affinchè rimanga nella memoria di tutti anche attraverso lo spettacolo teatrale unico in Italia di Roberto Faoro che in scena interpreta Sergio Saviane, Ho giocato a carte con l'assassino Sergio Saviane e i delitti di Alleghe, regia di Francesco Bortolini, musiche di Antonio Fiabane e Alberto Mambrini, luci e audio di Paolo Pellicciari. Di questo lavoro esiste anche un DVD (Ho giocato a carte con l'assassino, il Film) girato nella splendida cornice della Sena, la piccola Fenice, il Teatro di Feltre sempre per la regia di Bortolini e coprodotto da Telebelluno.

I Misteri di Alleghe invece sono stati letti e registrati presso Radio Più di Taibon Agordino e sono disponibili in formato audio. Per la prima volta attraverso la voce di Roberto Faoro riecheggia nella vallata agordina e tra le vie di Alleghe il libro proibito, un omaggio sincero al grande giornalista dell'Espresso Sergio Saviane. 

Forse un giorno sarà concesso e reso possibile portare il monologo di Faoro ad Alleghe, affinchè in qualche modo si chiuda questa terribile ferita che direttamente o indirettamente ha riguardato la vita di migliaia di persone e che fu una vicenda che fece il giro del mondo. Una ferita che continua a pulsare.  

 

 

 

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Ho giocato a carte con l'assassino - Sergio Saviane e i delitti di Alleghe

Pubblicato in Teatro

Di e con: Roberto Faoro
Regia: Francesco Bortolini
Spettacolo coprodotto dall'Associazione Teatro del Cuore di Feltre con Telebelluno e ospitato al Salone Internazionale del Libro di Torino per la Regione Veneto.

Per la prima volta Sergio Saviane e i delitti di Alleghe in scena! Lo spettacolo, un monologo dove la grande forza interpretativa dell'attore feltrino Roberto Faoro è messa in piena luce, ripercorre un'atroce e incredibile storia di morti misteriose e innocenti avvenute ad Alleghe, un piccolo paese aggrappato alla roccia situato nel cuore delle Dolomiti Bellunesi, avvenuto tra gli anni'30 e gli anni'50, indagate dallo scrittore e giornalista italiano Sergio Saviane e riportate nel libro "I Misteri di Alleghe" (Mondadori per Pilotto - 1964), che rimane ancora oggi un esempio di inchiesta giornalistica limpida e tagliente.

Faoro da voce e corpo allo stesso Saviane, alle vittime innocenti, agli assassini e a tutti i protagonisti di questa storia e incredibile vicenda, in un crescendo di pathos che coinvolge lo spettatore sollevando dubbi e mille domande a cui non è possibile dare risposta. 

Roberto Faoro - Ho giocato a carte con l'assassino. 

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Biografia

Pubblicato in Roberto Faoro

Esperienza, professionalità e passione per il mondo dell'arte e della recitazione sono le tre parole chiave che fanno di Roberto Faoro un poliedrico attore, drammaturgo, regista e formatore molto conosciuto e apprezzato nel territorio delle Dolomiti Bellunesi, ma anche a livello nazionale.

Anima e motore dell'Associazione Culturale Teatro del Cuore, ha contribuito a promuovere e diffondere la cultura teatrale in Provincia di Belluno, ideando e realizzando numerose rassegne, laboratori, corsi e spettacoli teatrali che hanno riscosso negli anni un notevole successo di pubblico e critica, portando alla ribalta delle cronache nazionali la storia e i successi di questo attore e regista italiano.

Nato a Feltre il 14 settembre 1964, si laurea nel 1998 in Storia del Teatro presso l'Università Cà Foscari di Venezia, con una tesi su Paolo Rossi e la scena comica con il Professor P. Puppa, che lo definì: "un attore mai volgare unisce l'inquietudine della ricerca ad una profonda conoscenza delle proprie radici antropologiche", paragonandolo al Dario Fo giovane, dichiarando di essere il più importante attore in lingua dialettale vivente.

Nel pieno degli studi universitari, tra gli anni '87 e '89 frequenta un gruppo di teatro di strada; una straordinaria esperienza durante la quale gira l'Italia Centro Settentrionale in treno, recitando un canovaccio incentrato sul tema dell'AIDS. Fu proprio grazie a questo sketch che Faoro imparò l'arte dell'improvvisazione e ad usare correttamente la voce in scena, incontrando durante questa esperienza di teatro itinerante molti personaggi famosi tra cui Giorgio Gaber a Vicenza, Mariangela Melato a Cesena, Paolo Conte a Firenze, Bagget Bozzo a Milano, Sandra Milo e Edoardo Bennato a Parma.

Una volta maturato il desiderio di approfondire il mondo della recitazione, della dizione e dell'arte scenica, frequenta diversi laboratori e stage in Italia conoscendo registi e formatori di spicco, tra cui nel 1998 alla Scuola di Teatro Ulysses di Padova Nin Scolari, allievo di Grotowski, con il quale lavora sulla propria identità, allestendo tre spettacoli.

Negli anni seguenti partecipa a numerosi Festival della Comicità a Torino, Milano, Catania e Cagliari, aggiudicandosi il primo premio come attore comico a Marostica. Supera anche i provini di Zelig e si esibisce a Milano nel celebre locale in Viale Monza.

Il suo percorso formativo prosegue negli anni 2006 - 2007 come allievo e attore presso la Scuola Regionale Teatro Continuo di Padova gestita sempre da Nin Scolari, dove segue principalmente il metodo Grotowski delle azioni fisiche, portando in scena lo spettacolo teatrale "Ho Giocato a Carte con l'Assassino - Sergio Saviane e i Delitti di Alleghe" diretto dal regista Francesco Bortolini, ottenendo prestigiose recensioni e segnalazioni come attore sulla stampa nazionale.

Nel 2011 in collaborazione con Telebelluno e in sinergia con l'Associazione Teatro del Cuore di Feltre e Belluno, Roberto Faoro pone in essere la versione di questo spettacolo, presentato alla Fiera Internazionale del Libro di Torino per tramite della Regione Veneto, ottenendo ancora una volta visibilità su quotidiani come La Repubblica, L'Espresso, Il Manifesto, L'Avanti, Hystrio, Il Corriere del Veneto, Il Resto del Carlino, oltre che sulla stampa locale.

Dal 2008 al 2012 ricopre il ruolo di Direttore Artistico organizzando numerose rassegne e spettacoli teatrali in Provincia di Belluno, collaborando con la scrittrice napoletana Vania Russo al testo del copione "L'Incendio di Feltre. Tragedia del Possesso", inerente la distruzione della città medioevale avvenuta nel 1510, per mano dell'esercito imperiale asburgico di Massimiliano, curandone anche la regia.

L'anno 2014 segna il debutto al Teatro Comunale di Belluno di "Annegati di Terra. La Storia dei fratelli Bisaglia", spettacolo ideato da Roberto Faoro coprodotto in sinergia con l'Associazione Teatro del Cuore e TIB Teatro Residenza Teatrale e, nel 2015, dalla consolidata rassegna di teatro comico, satira e cabaret "Sena Ridens", patrocinata del celebre vignettista e giornalista italiano Vincenzo Gallo, detto Vincino, amico e collaborando di Vauro.

Nel 2018 il drammaturgo e regista feltrino viene selezionato a livello nazionale per il progetto I Love Actors promosso dell'Agenzia Avangard di Milano, sulle piccole realtà nazionali che promuovono la cultura teatrale con competenza e passione.

Proprio lo scorso anno è iniziata per l'attore una tournèe europea che ha attraversato Spagna, Inghilterra, Germania, Polonia, Belgio e Italia, per concludersi quest'anno a Bruxells con il monologo "Sogno di una felice Europa" scritto dallo stesso Faoro, con musiche di Piero Bolzan e luci e audio di Valerio Scremin.

Roberto Faoro - Perchè ho deciso di insegnare teatro.

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