Roberto Faoro: le recensioni che toccano il cuore.

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La parola a chi ha conosciuto il poliedrico attore e regista Roberto Faoro.

"Buongiorno a tutti. Io ammirai Roberto Faoro nello straordinario monologo al Teatro de La Sena di Feltre, quando ancora mia figlia studiava teatro  con lui, partecipando attivamente alle esperienze di lettura espressiva nella sua scuola. Stare da solo sul palco per tutto quel tempo, raccontando e interpretando una storia agghiacciante e in apparenza inesplicabile, non è da tutti. Ricordo che non perdevo mai di vista il suo volto, la tensione era sempre viva, il coinvolgimento totale, la vibrazione interiore palpabile. Uno degli spettacoli teatrali più emozionanti della mia vita".

"Ci tenevo a scrivere questo messaggio per ringraziarti di cuore del percorso che ho fatto in questi anni. Mi ha aiutato molto non solo teatralmente parlando, ma anche con me stessa, superando certe paure dentro di me, buttarmi senza pensare troppo al giudizio degli altri e poter capire certi punti di forza miei. Se tornassi indietro nel tempo farei questa esperienza altre cento volte, questa è stata senza dubbio una delle "cose" più belle della mia vita. Mi sento fortunata nell'aver avuto come insegnante te, penso tu sia una grande persona e professionista, molto profondo, intelligente e geniale. Grazie per aver avuto sempre la pazienza, disponibilità e l'amore che trasmettevi durante le lezioni. Non c'è di meglio nel vedere qualcuno che insegni con passione il proprio mestiere. Il teatro e la recitazione in generale, sono sempre state una mia grande passione e spero col tempo di poterla coltivare. Scrivendo questo messaggio mi sto commuovendo e mi fa capire quanto sia stata bene e felice in questi anni. Non sono molto brava con le parole, ma spero di essermi fatta capire. Il "laboratorio" avrà sempre un posto nel mio cuore. Grazie infinite di tutto. Spero il meglio". 

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Il talento di Mattia Cremonese sbarca a New York.

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Credere fino in fondo al proprio talento! E' ciò che ha fatto Mattia Cremonese, giovane diciottenne di Pedavena con un'innata passione per il teatro, il canto e la danza, ma soprattutto per il musical, un genere di rappresentazione nato negli Stati Uniti tra l'Ottocento e il Novecento, che incorpora e abbraccia tutte queste discipline.

Un ragazzo perspicace che, dopo aver terminato l'ultimo anno di scuola superiore, è pronto a spiccare il volo per realizzare il proprio sogno: pochi giorni fa ha saputo di essere stato selezionato per una borsa biennale alla prestigiosa American Musical And Dramatic Academy (AMDA), un conservatorio universitario privato per le arti dello spettacolo situato a New York City e Los Angeles.

La formazione artistica di Mattia è cominciata proprio con il poliedrico attore, drammaturgo, regista e formatore Roberto Faoro, anima e motore dell'Associazione Culturale Teatro del Cuore, dove ha potuto portare in scena ben quattro spettacoli.

Nel frattempo Mattia Cremonese ha iniziato anche ad avvicinarsi al mondo del canto frequentando la Scuola di Musica Francesco Sandi e, al contempo, anche alla danza grazie all'incontro con Anna Argenti di Zero Gravity Pilates And Dance di Feltre.

Ma in tutto questo il musical è diventato presto il suo vero obiettivo, dato che nel nostro Paese questo genere non è ancora particolarmente conosciuto e apprezzato. Una volta scoperto, è stato amore a prima vista: Mattia ha iniziato ad appassionarsi guardando soprattutto spettacoli stranieri, con un occhio di riguardo per quelli di Broadway, arrivando presto alla conclusione di mettersi in gioco tentando la sfida di entrare in un'accademia estera, cercando le biografie degli attori che più lo appassionavano per scoprire dove avessero studiato.

Da questa ricerca, la scelta dell'accademia newyorkese. L'AMDA nel suo sito web ha un'intera sezione dedicata agli studenti internazionali. Questo particolare ha colpito subito l'attenzione di Mattia, che ha potuto constatare con i suoi occhi di possedere tutti i requisiti per entrare in questa scuola.

Preso dall'entusiasmo, l'audace giovane decide di iscriversi iniziando a seguire qualche Open House online, informandosi sui corsi e audizioni. Per essere ammessi era richiesto di preparare una canzone tratta proprio da un musical e un monologo teatrale, ovviamente tutto in lingua inglese.

Oltre a tutto questo, un'intervista personale e la scrittura di un'autobiografia composta da un massimo di 500 - 700 parole. Lo scorso 15 gennaio è stato il grande giorno dell'audizione di Mattia via Zoom. Dopo essersi esibito e aver risposto ad una serie di domande, ha ricevuto via email la tanto attesa conferma di essere stato selezionato come studente alla prestigiosa Accademia, ricevendo il plico con il certificato di accettazione.

Le lezioni inizieranno il 18 ottobre: Mattia per il momento frequenterà i primi due anni, conseguendo il certificato professionale di conservatorio. Successivamente il suo percorso accademico potrà proseguire ottenendo la laurea in arti performative.

Roberto Faoro e il forte legame con Mattia Cremonese.

La storia di Mattia è un bellissimo messaggio per i più giovani. Parola di Roberto Faoro, suo primo maestro. In un momento di forte smarrimento e depressione generale, Mattia è la testimonianza che "si può fare". Ha avuto forte determinazione e coraggio nel provare ad inseguire un suo sogno, senza mai scoraggiarsi di fronte a problemi e difficoltà. Poi se l'hanno preso, vuol dire che il talento lo ha davvero.

Mattia Cremonese non è figlio solo della nostra Associazione Culturale, ma di se stesso e delle tante esperienze che ha intrapreso negli anni. Da subito ho riconosciuto in lui una presenza corporea, mentale ed emotiva che mi hanno profondamente colpito. In lui ho visto affidabilità, serietà, passione, dedizione e una certa elasticità, che gli permetteva di trasformare le mie richieste in azioni ed emozioni, anche con una certa qualità e precisione, facendomi pensare che fosse davvero un ragazzo di talento. Così è stato, a quanto pare.

Riuscire a coltivare i propri sogni è la strada maestra che porta alla felicità e a sentirsi sempre orgogliosi di se stessi. Tutti quelli che nella loro vita sono riusciti a combinare qualcosa di importante, sono persone che non hanno solo sognato ma che ci hanno creduto fino in fondo, perchè nulla oggi è irraggiungibile. Basta solo essere pronti a spiccare il volo al momento più opportuno.

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La storia di Vallesella, il paese che non esiste più.

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La storia di Vallesella e dei suoi abitanti è una vicenda realmente accaduta e poco nota all'opinione pubblica anche se è una delle storie più clamorose che hanno caratterizzato il secolo scorso nella Provincia di Belluno, assieme alla vergognosa tragedia del Vajont e ai Delitti di Alleghe

Tutto ebbe inizio nel 1949 con l'avvio dei lavori di costruzione della diga di Sottocastello nel Comune di Pieve di Cadore. Una grande opera di sbarramento realizzata su progetto dell'allora Società Adriatica di Elettricità (S.A.D.E.) la cui politica nella grave situazione dell'imminente dopoguerra, prevedeva anche il ricorso all'utilizzo delle risorse idriche dell'alto bacino del Piave, per la produzione dell'energia elettrica. 

Nonostante l'acclamato pericolo di cedimenti sotterranei dovuti alla particolare conformazione del sottosuolo di Vallesella, appena un anno dopo un grande e profondo lago artificiale copriva con 64 milioni di metri cubi d'acqua, la Vallata del Centro Cadore. 

E' proprio in questo periodo che incominciano a verificarsi i primi malumori e problemi per gli abitanti di Vallesella, frazione del Comune di Domegge di Cadore collocata sulla destra orografica del Piave, incorniciata da estesi e ondulati pendii che iniziavano a contraddistinguersi per attività e intraprendenza. Con le imminenti operazioni di riempimento della riserva d'acqua, oltre una decina di abitazioni si lesionarono e, alcune di queste, vennero dichiarate inagibili, mentre nella piazza di Villagrande apparvero delle profonde spaccature al suolo. 

Non appena appurato e constatato dal Genio Civile di Belluno lo stato di pericolosità in cui versavano i luoghi e le principali strutture abitative e commerciali, si costituirà nel mese di giugno dello stesso anno il Comitato Danneggiati, che presentò spontaneamente alla S.A.D.E. una richiesta di risarcimento economico del valore di 100 milioni di vecchie lire, per coprire la spesa degli interventi di messa in sicurezza più urgenti. La società corse subito ai ripari, sostenendo che si trattava per lo più di smottamenti provocati da erosioni o fenomeni naturali da addebitare direttamente allo Stato, tramite il ricorso all'erogazione di fondi speciali già esistenti per casi analoghi. 

Con il passare degli anni la situazione non migliorò; i danni, le preoccupazioni e i guasti si aggravarono notevolmente, ma nonostante tutto la Società Adriatica di Elettricità continuò imperterrita a respingere a spada tratta le sue reali responsabilità, offrendo alla comunità di Vallesella un indennizzo di 50 milioni che, per ovvie ragioni, non fu accolto dagli abitanti lesionati.

E così si arrivò al 1960 con una situazione ancora perennemente irrisolta sia per quanto riguardava la stabilità degli edifici, che per l'assegnazione di ogni colpa da parte della S.A.D.E. Nonostante il perdurare dei problemi e del clima d'incertezza, gli abitanti non si vollero dare per vinti e, nel corso dei primi anni'60, si assistette al dilatarsi delle attività economiche e manifatturiere locali, a Vallesella e nelle zone circostanti. 

Il piccolo paese che allora contava circa 800 residenti, nonostante le continue vicissitudini legate ai dissesti idrogeologici causati dall'invaso, non si arrese e presto le aziende iniziarono a proliferare dando sostegno e lavoro a molti operari, arrivando a raggiungere l'ambito traguardo di essere il paese più industrializzato del Cadore, se rapportato al numero di abitanti. Ma si attendeva ancora dal Governo un intervento risolutivo riguardo il problema delle abitazioni. 

Con un decreto del 14 marzo 1963 si trasferirono all'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica (ENEL) la proprietà dei beni immobili e la competenza in possesso prima alla S.A.D.E.  Da questo momento la gente iniziò a sperare che la situazione potesse migliorare, ma il sogno durò poco.

Nella notte del 09 ottobre 1963 avvenne il disastro del Vajont, una terribile tragedia che a Longarone causò la morte di quasi duemila persone, a causa dello scivolamento del monte Toc nel bacino artificiale. 

Subito nei volti delle persone si ripresentò la paura; ormai gli abitanti di Vallesella erano sempre più avviliti e stufi delle promesse verbali non mantenute dai politici locali e nazionali, ma allo stesso tempo fermamente convinti che quanto avvenuto nel vicino Comune di Longarone, poteva accadere anche nel loro paese, costituito da un labirinto di caverne le cui pareti potevano cedere da un momento all'altro.

Un primo spiraglio di luce avvenne nel 1965 quando la Commissione Arbitrale nominata dal Ministero, sembrava aver risolto il contezioso con l'Ente Elettrico di Stato, operando al contempo per definire il piano destinato al recupero delle abitazioni. Finalmente l'era della ricostruzione sembrava arrivata, anche se accolta dallo scontento generale per gli accordi con la società di Stato, che si dichiarò colpevole per la quota del 75% del danno arrecato e, di conseguenza, la relativa liquidazione risultava pari ai tre quarti del valore della proprietà lesionata.

Un anno dopo la disastrosa alluvione del 1966 causò ingenti danni alla vallata cadorina, i paesi del Comelico furono colpiti duramente dalla furia delle acque del Piave e degli affluenti minori, le comunicazioni viarie furono interrotte. Vallesella venne nuovamente invasa dall'ennesima valanga di fango e detriti, con il rischio di tracimazione oltre la quota rappresentata dal coronamento della diga. 

Nonostante le ennesime difficoltà, si riprese una nuova trattativa con l'Ente Elettrico Nazionale, ma dopo sedici anni i nuovi edifici costruiti erano appena ventinove. Restavano ancora da analizzare i casi più difficili, ovvero quelli legati alle residenze di piccoli proprietari terrieri o di persone anziane a basso reddito, alle quali il controvalore del 75% e la conseguente svalutazione dell'immobile, non consentiva di poter realizzare praticamente nulla.

Nello sconforto più generale, l'inevitabile conseguenza del protrarsi di questi continui ritardi ed incertezze generali nella ristrutturazione degli edifici urbani, comportò lo spopolamento del piccolo borgo, con la definitiva scomparsa del paese distruggendo, di fatto, l'agglomerato sociale originario generando una condizione di paese fantasma. 

Solamente nel 1999 si è arrivati alla conclusione di questa lunga odissea, grazie alla predisposizione di un progetto di ricomposizione ambientale portato avanti dall'Amministrazione Comunale di Domegge di Cadore, guidata dall'allora Sindaco Falminio Da Deppo in collaborazione con l'ENEL, che ha portato alla trasformazione del vecchio paese in un'area verde adibita a parco, con l'annessa vicinanza degli impianti sportivi. 

In tempi recenti questa triste e dolorosa vicenda della scomparsa di Vallesella, è stata riportata alla ribalta dal prezioso e costante lavoro dell'eclettico attore, drammaturgo, regista e formatore feltrino Roberto Faoro con l'opera "Animo! La storia di Vallesella il paese che sparì", una trasposizione teatrale scritta in collaborazione con Claudia De Mario componente dell'Associazione Culturale La Fontana Conta e abitante di Vallesella, basata sulla raccolta di testimonianze dirette, ricerche d'archivio, articoli di giornale e quanto potesse essere d'aiuto per ridare la giusta consistenza a un tragico fatto finito nell'oscurità, lasciato indietro. 

Lo spettacolo ha visto negli anni un susseguirsi di repliche in Provincia di Belluno, tra cui una anche all'aperto proprio dove un tempo sorgevano le case di Vallesella, alla presenza di oltre 600 spettatori commossi e degli operatori di Telebelluno, che hanno trasmesso il filmato in varie occasioni. 

Questa rappresentazione teatrale è stata altresì il volano per la stesura del docu - libro "Il Paese che non c'è più. La storia di Vallesella fra gli anni'50 e '90. Ricordi e testimonianze di vita", scritto da Roberto Faoro e da Claudia De Mario, con il supporto dell'Editor Vania Russo e del giornalista del Gazzettino e scrittore Giannandrea Mencini, al solo scopo di far riflettere i lettori sull'importanza che riveste oggi il profondo senso di appartenenza ad un territorio, caratterizzato da un forte tessuto sociale che nel sistema di relazioni incide e contribuisce a fare la differenza nella formazione di ogni singolo individuo e, quindi, alla relativa crescita della società.

Un importante lavoro che ha coinvolto anche i ragazzi della seconda e terza media dell'Istituto Comprensivo di Domegge di Cadore, con l'obiettivo di lasciare una testimonianza di quanto realmente accaduto, rendendo giustizia alle voci dei protagonisti di allora senza demonizzare nessuno, ma allo stesso tempo cercando di non sottrarsi a domande alle volte anche scomode, che attendono una risposta anche se non sono di certo le uniche in Italia. 

 

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Roberto Faoro: un poliedrico attore alla costante ricerca di nuove ispirazioni.

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Eclettico, creativo, estroso. Sono i tre aggettivi che definiscono ma non esauriscono la personalità dirompente di Roberto Faoro poliedrico attore, drammaturgo, regista e formatore conosciuto e apprezzato nel territorio delle Dolomiti Bellunesi, ma anche a livello nazionale. 

Un artista che nonostante il protrarsi della pandemia, non si è perso d'animo nel cercare di sfruttare questa "pausa piena", per dare vita a nuovi progetti e a riprenderne in mano altri, dedicandosi al contempo anche alla scrittura e lettura. Non potendo in questo momento portare in scena i suoi numerosi spettacoli come "Ho giocato a carte con l'assassino. Sergio Saviane e i delitti di Alleghe", "Annegati di Terra. La storia dei Fratelli Bisaglia", "Sogno di una Felice Europa", Faoro ha deciso di concentrare le sue energie sul fronte editoriale.

Recentemente, ha collaborato con Claudia De Mario alla stesura del docu - libro "Il paese che non c'è più. La storia di Vallesella", riportando alla luce una delle grandi storie bellunesi ancora poco conosciuta dalla gente, incentrata sulla devastazione di una piccola frazione del Comune di Domegge di Cadore, avvenuta nel 1950 a seguito della costruzione di una grande diga sul fiume Piave, per realizzare un serbatoio d'acqua da utilizzare per lo sviluppo dell'energia elettrica. Una decisione che presto si rivelò errata. Il lago sommerse case e ponti provocando fessurazioni e crolli, costringendo così gli abitanti ad abbandonare definitivamente le proprie abitazioni, provocando inevitabili danni all'economia locale dalla quale la maggior parte delle persone traeva beneficio. La pubblicazione contiene anche "Animo!", drammaturgia che l'attore feltrino ha ideato sempre al fianco della De Mario, tratta da questa pagina oscura della storia della Provincia di Belluno, paragonabile per certi versi alla nota tragedia del Vajont.

Proprio la presentazione del primo volume avvenuta lo scorso 17 ottobre, ha costituito l'evento di apertura della seconda edizione di "Tu chiamale se vuoi Emozioni" rassegna di teatro, musica e cultura presso la Sala Teatro San Giorgio di Domegge di Cadore, realizzata dal Comune in collaborazione con le Associazioni Culturali Teatro del Cuore e la Fontana Conta, programmazione che ha dovuto interrompersi il 24 ottobre. 

Lo stop all'attività di recitazione, ha permesso a Roberto Faoro di dedicarsi ad un'altra sua passione: la scrittura. Un primo testo ha riguardato proprio il ripercorrere le tappe più significative della sua vita abbastanza avventurosa, racchiuse in un'avvincente autobiografia, dove alcuni episodi particolarmente divertenti potrebbero dare l'ulteriore spunto per la messa in scena di uno spettacolo comico. 

Altro progetto editoriale di rilievo è quello nato dalla volontà di dare voce ai pensieri, alle riflessioni, paure ed emozioni vissute dai giovani ragazzi frequentanti i corsi di teatro estivi, vissute durante il periodo del primo lockdown. Racconti personali incentrati sull'improvviso e repentino cambio di vita della generazione dei Millennials, privati improvvisamente di ogni libertà a causa della comparsa di un virus invisibile, ma al tempo stesso molto potente. Pensieri che sono diventati materia per il saggio "Zoom: Racconto, Condivido, Rappresento" e la nascita di un libro di ben 96 pagine in procinto di stampa, dove sono riportate anche le immagini delle maschere raffiguranti il volto immaginario del virus realizzate durante il laboratorio teatrale. Un'importante occasione liberatoria dopo il periodo di quarantena in casa. 

Durante il periodo della pandemia in casa, Faoro non ha perso l'occasione per concentrarsi sulla lettura di diverse autobiografie tra cui quella del regista, sceneggiatore, attore, comico e scrittore Woody Allen, oltre all'approfondimento di altre opere letterarie come The Body di Stephen King, di cui pare abbia ricavato un copione teatrale per ragazzi.

Ma nella testa di Roberto Faoro ci sono ancora molti altri progetti e idee che gli frullano per la testa, pensate appositamente per continuare a promuovere la cultura teatrale in Provincia di Belluno, nella speranza di poterle sviluppare non appena le persone potranno ritornare a frequentare i teatri, in completa sicurezza. 

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La comicità e il teatro d'inchiesta di Roberto Faoro in scena alla Rassegna Tu chiamale se vuoi Emozioni.

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"Il teatro è una grande palestra delle emozioni: è il luogo dove le persone si incontrano, e vivono assieme agli attori le vicende rappresentate, arricchendosi di pensiero e nell'anima". E' con questo incipit che prende il via dal mese di ottobre la seconda edizione della Rassegna Tu chiamale se vuoi Emozioni promossa dall'Associazione Culturale La Fontana Conta e dall'Associazione Culturale Teatro del Cuore, in collaborazione con il Comune di Domegge di Cadore, con la direzione artistica di Roberto Faoro, Anna Lisa Muscas e della Compagnia La Fontana Conta. 

Lo stesso Faoro sarà presente a tre appuntamenti di questa Rassegna, nata come occasione di promozione e condivisione della cultura teatrale, musicale e della scrittura e del cinema in Provincia di Belluno, ma soprattutto nel territorio cadorino attraverso il coinvolgimento di scrittori, attori professionisti e artisti locali, che si svolgerà da ottobre a gennaio 2021 nella Sala Teatro San Giorgio di Domegge di Cadore. 

GLI APPUNTAMENTI DELLA RASSEGNA CON IL POLIEDRICO ATTORE E REGISTA ROBERTO FAORO.

Sabato 17 ottobre - ore 20:45
Presentazione del Docu - Libro "il paese che non c'è più". La storia di Vallesella.

Interventi di alcuni testimoni della vicenda e del giornalista e scrittore Giannandrea Mencini.
Intermezzi musicali di Andrea Da Corta. Moderatore: Roberto Faoro.

Lì dove un tempo sorgeva Vallesella, popolosa frazione del Comune di Domegge di Cadore, oggi restano solo poche case. Gli abitanti hanno dovuto andarsene. Al posto del paese sono sorti moderni impianti sportivi e aree verdi. Con i residenti è sparita anche un'intera storia che merita di essere raccontata. 

All'origine di questa vicenda, che inizia nel 1950 e si conclude solo alla fine degli anni Novanta, c'è la costruzione di una grande diga sul Fiume Piave per realizzare un serbatoio d'acqua da utilizzare per la produzione dell'energia elettrica. Questo lago artificiale presto sommerse case e ponti provocando fessurazioni e crolli, costringendo gli abitanti ad abbandonare le proprie dimore provocando ingenti danni all'economia locale dalla quale la maggior parte della gente traeva da vivere. 

Una delle grandi storie bellunesi, come il Vajont e i delitti di Alleghe, ancora storicamente poco conosciuta dalla gente, a cui Roberto Faoro cercherà di dare il giusto risalto moderando la presentazione del Docu - Libro "Il paese che non c'è più", la storia di Vallesella, che vedrà il susseguirsi di alcuni interventi di testimoni della vicenda, oltre alla presenza del giornalista e scrittore Giannandrea Mencini, nel 2013 premiato a Sorrento con una menzione speciale nell'ambito della terza edizione del Premio Nazionale di ecologia Verde Ambiente. 

Sabato 31 ottobre - ore 20:45
Sogno di una Felice Europa. Spettacolo già in tournèe europea dal 2019.

di e con Roberto Faoro. Musiche dal vivo di Piero Bolzan. Luci e audio: Valerio Scremin. 

In questo spettacolo si ride di noi stessi, dei nostri clichè, di come ci percepiscono gli altri e di come noi li vediamo. Ma si ride anche di un certo nazionalismo ed europeismo da esasperati. Insomma ce n'è per tutti i gusti! Ma lo scopo non è certo quello di rimarcare divisioni ma semmai condividere differenti visioni e identità, perchè il gruppo non annulla il singolo, accoglie e integra la sua personalità valorizzandolo al massimo. 

L'opera si conclude con un piacevole monologo nel quale Roberto Faoro cerca di parlare con la testa e la pancia, delle prospettive del futuro tracciando un possibile orizzonte, inseguendo la realtà e il sogno convinto che testa e cuore devono viaggiare assieme, per una visione scientifica e poetica delle cose, che da un lato sia ben ancorata a terra, ma con la capacità di guardare al cielo, libera da ideologie precostituite e clichè. 

Sabato 16 gennaio 2021 - ore 16:00
Annegati di Terra. La Storia dei Fratelli Bisaglia.

Spettacolo scritto e interpretato da: Roberto Faoro.
Direzione artistica: Roberto Faoro, Anna Lisa Muscas e l'Associazione Culturale La Fontana Conta.

Annegati di Terra racconta un mistero inquietante e ancora poco sconosciuto: un intreccio di interessi politici, culturali e di scandali che non si conclude solo con la morte dei Fratelli Bisaglia in circostanze poco chiare, ma che miete vittime illustri anche all'interno dello stesso entourage dell'allora Ministro della Repubblica Antonio Bisaglia.

Roberto Faoro sul filone del teatro civile e di narrazione, ripercorre sul palcoscenico l'avventura e le vicende umane e politiche di Toni e Mauro Bisaglia, ma anche la storia italiana dagli anni Sessanta ai Novanta, un periodo torbido e inquietante ricco di vicende che rimarranno insolute, ecco questa storia realmente accaduta racconta proprio di una vicenda clamorosa ma stranamente dimenticata, perchè? 

 

 

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Sogno di una felice Europa. Roberto Faoro ritorna in scena a San Vito di Cadore venerdì 31 luglio ore 21:00.

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Al giorno d'oggi è difficile parlare dell'idea di Europa, di integrazione, di nazionalismo, di euroscetticismo o di europeismo senza incorrere nel rischio di cadere nella retorica o nei pregiudizi e stereotipi comuni. L'unica certezza è che la reputazione dell'UE in Italia è ai suoi minimi storici. A rivelarlo un recente sondaggio realizzato dalla società Kanter per il Parlamento europeo. Nel 2019 il nostro Paese si è classificato per la prima volta all'ultimo posto tra gli Stati membri che ritengono l'appartenenza all'Unione Europea "una cosa positiva". Solo il 37% dei nostri connazionali apprezza di essere un cittadino europeo.

A cercare di fare maggiore chiarezza sul ruolo chiave e sull'effettiva importanza che riveste l'Unione Europea nella crescita e sviluppo del nostro Paese ci penserà il poliedrico attore, drammaturgo e regista Roberto Faoro nel suo spettacolo Sogno di una Felice Europa, che andrà in scena venerdì 31 luglio alle ore 21:00 nella Sala Polifunzionale Enrico Lotto di San Vito di Cadore.

Senza voler insegnare nulla a nessuno l'autore condurrà gli spettatori a compiere un'attenta e profonda riflessione sull'incerto futuro dell'Europa, a rischio di una forte battuta d'arresto nel suo lungo e travagliato percorso di unità e pace. Tra comicità e poesia Faoro racconterà con l'ironia che lo contraddistingue luoghi comuni ed estremismi nazionalisti ed europeisti, lasciando ampio spazio alle risate e all'autocritica,

L'intento dello spettacolo, che trae ispirazione dai testi letterari "La cavalcata di Don Chisciotte" scritto dal filologo e autore svizzero Peter von Matt e "Paradosso Europa" di Agnes Heller non è certo quello di rimarcare divisioni ma condividere differenti identità, nella ferma convinzione che il gruppo non annulla il singolo ma lo accoglie e lo integra, valorizzandolo al massimo.

Il finale "I have a dream" chiuderà il cerchio di considerazioni proposte dal monologo dell'attore dipingendo un quadro sul futuro dell'Unione Europea, in una commistione tra sogno e realtà. E' proprio da questa filosofia che nasce la visione di Roberto Faoro, pienamente convinto che testa e cuore debbano viaggiare assieme per una visione al contempo scientifica e poetica delle cose, oppure ancorata a terra ma con la piena capacità di guardare verso il cielo. Come un uccello che vola toccando con un'ala il suolo e con l'altra il cielo. 

Sogno di una Felice Europa vede l'accompagnamento dal vivo del musicista Piero Bolzan oltre alla preziosa collaborazione di Valerio Scremin per l'impianto audio e luci, di Andrea Cecchella quale voce fuori campo e di Gianluigi De Monego per la scenografia e il disegno.

In relazione alle vigenti disposizioni per la prevenzione del contagio da covid-19 l'ingresso in sala è contingentato esclusivamente su prenotazione fino ad esaurimento posti, da effettuarsi telefonando al numero 0436 9238 (Ufficio Turistico di San Vito di Cadore - Corso Italia 92/94).

SCARICA LA LOCANDINA DELLO SPETTACOLO. 

 

 

 

 

 

 

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La storia dei fratelli Bisaglia, vittime di trame ed intrighi politici.

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Una storia complicata, ricca di misteri e di situazioni inquietanti. Sono ancora molti gli enigmi e le domande senza risposta che colorano di giallo le morti dei due fratelli, Antonio Bisaglia, noto esponente della Democrazia Cristiana tra il 1972 e il 1980, morto il 24 giugno 1984 a Santa Maria Ligure, e don Mario il sacerdote trovato cadavere il 17 agosto 1992 nel Lago di Centro Cadore uno spicchio d'acqua artificiale situato in Cadore, tra gli abitanti di Pieve e Lozzo, in provincia di Belluno. Sino a poco tempo fa si associava la morte di queste due persone ad un destino infame e a volte crudele. Solo successivamente la Procura di Belluno, ha scoperto, dopo accurate analisi e rilievi eseguiti sul cadavere, che il prete non si è per nulla suicidato: in quelle acque ci finì già morto, forse soffocato.

Fu l'allora inquilino di Montecitorio Mario Borghezio, il primo a scuotere la testa davanti alla strana ricostruzione della vicenda. In un'interrogazione parlamentare, presentata in data 15 febbraio 1993 al Ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Battista Conso, il deputato ed europarlamentare della Lega Nord collegò la tragica fine dell'ex Ministro Antonio Bisaglia, avvenuta nel lontano 1984, a quella del fratello dello stesso, Don Mario Bisaglia, annegato nel 1992. Secondo Borghezio le due morti rappresentavano un quanto mai singolare caso d'inchieste svolte con accuratezza, senso del dovere e approfondimento non tanto dai competenti organi giudiziari del tempo, ma bensì da coraggiosi e scaltri giornalisti intesi ad oltrepassare, con amore di verità e pura coscienza professionale, il muro del silenzio che si era inevitabilmente eretto attorno alla tragica scomparsa dei due fratelli Bisaglia.

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI.

Era una domenica di giugno del 1984 quando il capo dei dorotei, parlamentare dal 1963 al 1979, tre volte ministro, morì all'età di 55 anni durante una consueta gita in barca a vela al lago di Portofino, in compagnia della moglie Romilda Bollati spostata appena un anno prima. La ricostruzione fornita dagli investigatori attribuì la colpa dell'accaduto ad un'improvvisa onda anomala. Fu proprio lo stesso Borghezio il primo a non crederci: numerosi indizi e particolari, quali ad esempio il singolare ritrovamento della bandiera dello yacht Rosalu di proprietà della moglie, e il numero effettivo di passeggeri che si trovavano effettivamente a bordo (mai chiarito), facevano intendere che il giallo di questa morte accidentale somigliasse piuttosto alla fine di Calvi che ad un normale incidente nautico. Questo spinse il parlamentare del Carroccio ad interrogarsi a lungo sul fatto che lo stesso magistrato inquirente sulla morte del senatore Bisaglia, il dottor Marcello D'Andrea, ammise di non aver ritenuto opportuno disporre un sopralluogo il giorno stesso del tragico fatto. Sulla morte del noto senatore non si diede pace nemmeno Don Mario Bisaglia, trovato cadavere nel Lago di Cadore. Il suo corpo restò in acqua per almeno due giorni. Nelle tasche dei pantaloni e sotto la maglietta del prete furono rinvenute delle pietre, dei sassi e perfino un foglietto contenente degli appunti. Nei calzini erano invece arrotolate 850 mila lire. Nel 2003 il Pubblico Ministero Raffaele Massaro riaprì l'indagine su questo misterioso suicidio. Dopo aver disposto la riesumazione della salma, si scoprì che nei suoi polmoni non c'era alcuna traccia delle tipiche alghe cadorine: insomma Don Mario non sarebbe morto per annegamento, ma piuttosto per soffocamento. Il suo corpo pare sia stato recuperato in fretta da un aereo militare italiano e la salma seppellita in cimitero senza nemmeno essere stata sottoposta ad autopsia. Per gli inquirenti il verdetto fu suicidio. Quello su cui si è certi è che il religioso aveva fin dall'inizio manifestato forti dubbi e perplessità sulla presunta morte del fratello Toni specie dopo che, tra la fine del 1991 e l'inizio del 1992, aveva espressamente raccontato di aver appreso da alcuni fedeli nel segreto della confessione, particolari estremamente importanti sulla sua scomparsa. Notizie ed informazioni che lo avevano profondamente turbato, tanto da voler cambiare radicalmente il proprio stile di vita. Don Mario comunque non si perse d'animo e mise subito al corrente alcuni suoi amici e conoscenti su quanto aveva scoperto sulla morte del fratello.

Su queste nuove basi il magistrato ritenne del tutto improbabile che Antonio Bisaglia si volle suicidare, lasciando aperta l'unica ipotesi alternativa a quella dell'incidente. A sostegno di questa tesi vennero acquisite anche diverse testimonianze: in particolare gli inquirenti posero particolare attenzione a quella di un amico del sacerdote al quale Don Mario aveva confidato, proprio il giorno prima della scomparsa, che l'indomani avrebbe avuto un incontro con alcune persone al quale teneva particolarmente, tanto da far spostare la celebrazione della messa del mattino alla Casa di Cura Città di Rovigo, pur di giungere in perfetto orario nel luogo dell'appuntamento.

Ma in tutta questa misteriosa e surreale vicenda spicca un'altra storia inquietante. Il suicidio di Gino Mazzolaio, l'ex cassiere di spicco della DC polesana, finito in carcere il 16 marzo 1993 nell'ambito dell'inchiesta condotta dal PM veneziano Carlo Nordio sugli appalti della Sanità Veneta, per la quale erano già state emesse 27 ordinanze di custodia cautelare e decine di avvisi di garanzia. Il corpo di Mazzolaio, scomparso il 23 aprile 1993, venne ritrovato una settimana dopo nelle acque dell'Adige, all'altezza di Anguillara Veneta un comune della provincia di Padova, conosciuto alle cronache per essere il paese originario della famiglia del presidente brasiliano Jair Bolsonero. 

Questo ennesimo caso di morte sospetta spinse il Procuratore della Repubblica Fabio Saracini a farsi consegnare dai colleghi di Chiavari il fascicolo relativo alla morte del senatore ed ex ministro democristiano Toni Bisaglia. Dopo un'attenta analisi e lettura degli atti, l'ipotesi del suicidio apparve sempre meno probabile. Inoltre il PM sostenne che Don Mario non aveva nessun motivo valido per porre fine alla sua vita: tant'è che aveva già programmato delle visite e degli impegni per i giorni successivi. Le ipotesi che potevano rimanere in piedi erano la disgrazia oppure l'omicidio. Pur riuscendo ad allungare l'inchiesta anche ad altre persone e coinvolgendo più città italiane, il 21 marzo 1997 le meticolose indagini avviate dalla magistratura di Belluno sulla morte di Don Mario Bisaglia si conclusero con l'archiviazione, decisa dal GIP Antonella Coniglio su richiesta del Procuratore Mario Fabbri, che sostituì saracini morto un anno prima.

Ma a dare una significativa svolta a questa oscura vicenda di cronaca nera ci pensò nel luglio 2003 un esposto in cui un cittadino, direttamente interessato ad un particolare della vicenda, fornì elementi che spinsero il PM Raffaele Massaro a riaprire l'indagine effettuando un nuovo esame autoptico sulla salma del sacerdote. La consulenza affidata a due diversi anatomopatologi, confermò che il decesso del prete non sarebbe avvenuto per annegamento, ma bensì per una forma di soffocamento provocata senza atti violenti. A conferma di questo l'assenza di diatomee nel fegato, nel midollo e, soprattutto, nei polmoni della vittima. Ma c'è di più: secondo gli investigatori l'omicidio di Mario Bisaglia poteva essere strettamente legato alla tragica fine del fratello. A far supportare quest'idea pare che il prete si stesse recando in Cadore per consegnare ad alcuni giornalisti documenti importanti che riguardavano la morte del fratello. Tuttavia non fu mai possibile risalire agli esecutori materiali o mandanti del delitto e, per tanto, nel 2007 l'inchiesta venne definitivamente archiviata. 

A riportare a galla questa storia assai complicata, ricca di misteri e di situazioni inquietanti, non poteva che essere il poliedrico attore e regista Roberto Faoro, nello spettacolo teatrale "Annegati di Terra. La storia dei fratelli Bisaglia", portato in scena per la prima volta il 18 ottobre 2014 al Teatro Comunale di Belluno in sinergia con la Città di Feltre e la Provincia di Belluno e coprodotto con TIB Teatro e l'Associazione Teatro del Cuore di Feltre e Belluno. 

Annegati di Terra racconta un'altro mistero inquietante e poco conosciuto della storia italiana: un intreccio di interessi politici, culturali e di numerosi scandali che non si conclude solo con la morte dei due fratelli Bisaglia, ma che miete vittime anche nello stesso entourage del potente ministro. Un valido esempio di teatro civile che si ispira al libro inchiesta "Gli Annegati" (1992 - Sperling & Kupfer) scritto a quattro mani dai giornalisti Carlo Brambilla e Daniele Vimercati. La storia dei Fratelli Bisaglia è stata anche divulgata attraverso un film realizzato da Faoro con il supporto del regista Federico Bertozzi, vincitore del premio Flaiano 2002 e Opera Estate nel 2004, che ha partecipato anche come attore alla grande stagione del teatro di narrazione collaborando con Gabriele Vacis, Mario Baliani e Laura Curino. Il testo di cui è autore Roberto Faoro lo scorso anno ha ricevuto la menzione speciale nella sezione Teatro al Premio Internazionale Salvatore Quasimodo.  

 

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Alleghe, una lunga scia di sangue scuote le Dolomiti Bellunesi.

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Nella piazza principale di Alleghe un paese situato nel cuore delle Dolomiti Bellunesi, esisteva l'Albergo Centrale, di proprietà della famiglia Da Tos: è proprio attorno a questo storico edificio che ruotano i protagonisti di un'atroce e incredibile storia di cronaca nera, realmente accaduta, che ha scosso per diversi anni la vita degli abitanti di questa rinomata località turistica di montagna. Fiore Da Tos un povero bracciante agricolo sposa per mero interesse la proprietaria dell'albergo Elvira Riva. Dopo il matrimonio la coppia ha due figli: Adelina la più grande d'età che lavora nella struttura di famiglia, moglie di Pietro De Biasi, e il figlio più piccolo Aldo titolare della macelleria all'angolo della piazza.

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI

Tutto ebbe inizio la mattina del 9 maggio 1933. Alle 11:30 la tranquillità di questa splendida città in Provincia di Belluno venne sconvolta dal frastuono delle incessanti urla di disperazione di Adelina che, alquanto scossa e turbata, chiedeva aiuto in strada per la collega e cameriera Emma De Ventura che si era tagliata la gola con un rasoio nella sua camera d'albergo. La notizia si diffuse a macchia d'olio nel piccolo paese dove un tempo si conoscevano tutti. Avventori, curiosi e gli stessi clienti erano addolorati e sconvolti all'arrivo delle forze dell'ordine, del medico legale e delle altre autorità civili e militari incluso il segretario politico del Fascio Raniero Massi. Dopo una prima sommaria ricostruzione emerse che la giovane ragazza si fosse tolta la vita ingerendo della tintura di iodio, dopo aver avuto forti dolori al corpo che la spinsero velocemente a suicidarsi, con un unico e profondo fendente. Un'esecuzione da perfetto manuale se non fosse che più di una persona fece notare agli inquirenti come il flacone di veleno si trovasse appoggiato su una mensola della camera, mentre il rasoio era chiuso in un armadio riposto ad almeno sei passi di distanza dalla vittima, che riversava in posizione supina sul pavimento in una pozza di sangue. La stessa autopsia rivelò la presenza di alcune tracce di tintura nello stomaco di Emma e, nonostante le evidenze, le autorità confermarono la tesi del suicidio e l'archiviazione del caso. 

Un'altro episodio alquanto strano e all'apparenza misterioso si verificò il 4 dicembre del 1933. Il freddo pungente di quei giorni aveva ghiacciato le acque del lago di Alleghe. Fu così che due ragazzini decisero di approfittarne per andare a pattinare. Non fecero in tempo di avvicinarsi all'imbarcadero che uno dei due notò subito qualcosa che sporgeva in una parte del lago risparmiata dal gelo. Incuriosito il bambino si avvicinò, notando il cadavere di una donna. Anche in quest'occasione la gente del paese non tardò ad arrivare sul posto; tra i tanti curiosi spettatori c'era anche Pietro De Biasio, marito di Adelina Da Tos, che da lontano riconobbe che la vittima era Carolina Finazzer, novella sposa di Aldo Da Tos, il figlio minore dei proprietari dell'Albergo Centrale. I due, proprio il giorno precedente, decisero inaspettatamente di interrompere il viaggio di nozze per richiesta di Carolina che, rientrata visibilmente turbata in città, pareva dovesse avere un'imminente incontro con sua madre di li a poche ore. Gli investigatori avanzarono per la seconda volta l'ipotesi del suicidio, sostenuto dal fatto che la donna soffrisse di una forte depressione e di sonnambulismo. Questa tesi non convinse per nulla gli stessi familiari della vittima, che fecero notare alcune evidenti incongruenze come il ventre trovato privo d'acqua al suo interno, i denti stretti e la presenza di lividi sul collo della ragazza. Anche il medico condotto notò quei segni ma non volle soffermarsi più di tanto ad esaminarli, sostenendo che quelle tracce potevano essere riconducibili a delle macchie dovute ad un inizio di putrefazione. Una cosa che sembrò alquanto strana e priva di fondamento a tutti, visto che Carolina venne ritrovata solamente poche ore dopo la sua morte e, per di più, immersa nelle acque gelide del lago. Ma anche in questa circostanza nessuno volle indagare ulteriormente: anche Carolina Finazzer si suicidò. Caso chiuso.

Il paese sembrò presto tornare alla sua solita normalità: dall'ultimo delitto passarono ben tredici anni, fino a che successe nuovamente qualcosa di inaspettato. Era la notte del 18 novembre 1946 e Luigi Del Monego assieme alla moglie Luigina De Toni, conosciuti da tutti come Gigio e la Balena, allo scoccare della mezzanotte avevano chiuso le porte del circolo Enal e si apprestavano a far rientro a casa in prossimità del Vicolo La Voi. Improvvisamente si udirono due spari ravvicinati: i due coniugi vennero freddati a poca distanza uno dall'altro. Nessuno in paese sembrò sentire rumori quella notte. I due corpi vennero ritrovati all'alba della mattina successiva da Angelo De Toffol, fruttivendolo e cognato della Balena. Anche questo venne ritenuto un caso all'apparenza molto semplice e scontato, dato che dalla borsetta della signora era stato rubato l'incasso della serata: le conclusioni furono rapina a carico di ignoti. Nei giorni seguenti vennero anche fermati alcuni indiziati tra cui Luigi Verocai, un latitante evaso dal carcere prima della condanna in contumacia per un'altro omicidio, che però venne rilasciato per mancanza di prove a suo carico. Ovviamente anche in questo delitto le cose non tornavano: gli spari erano stati simultanei ma i cadaveri si trovavano distanti tra loro, dando l'ipotesi di un agguato piuttosto che di una rapina. Altro caso chiuso senza indagare a fondo.

Due suicidi e altrettanti omicidi a scopo di rapina: ecco i delitti di Alleghe che vennero sussurrati da tante persone del paese, ma che al tempo stesso rimasero inespressi a lungo nella bocca degli abitanti per paura di ritorsioni, fino a quando Sergio Saviane, giovane aspirante giornalista con un trascorso di gioventù ad Alleghe, apprese la notizia dalla stampa locale di quest'ultimo assassinio, decise di iniziare a far luce su questi oscuri fatti di cronaca. Saviane si fece presto convinto che i delitti fossero tra loro collegati e compiuti da una stessa mano: ma quale? Fu proprio il suo amico barbiere, Bepi Checchini, a persuaderlo ad indagare più a fondo e a scrivere delle memorie per far conoscere queste tristi e misteriose vicende di cronaca giudiziaria.

Il 13 aprile 1952 venne pubblicato l'articolo "La Montelepre del Nord" a firma Saviane che ipotizzava l'esistenza di un filo che collegava le morti di Emma De Ventura la giovane cameriera dell'Albergo Centrale, della cognata della titolare Carolina Finazzer e dei due coniugi gestori del bar con un esplicito riferimento all'omertà degli abitanti per paura di subire minacce o ritorsioni. Nel dicembre dello stesso anno Saviane venne citato in giudizio per diffamazione, che gli costò otto mesi di reclusione, il pagamento delle spese processuali e un cospicuo risarcimento economico alla famiglia De Tos per danni morali. Dopo questo duro affronto sembrava che su Alleghe fosse arrivato il fatidico momento per chiudere nuovamente il sipario, lasciando che il trascorrere del tempo dissipasse ogni ombra su questa vicenda. Ma non fu così; l'articolo attirò l'attenzione di Enzo Cesca il giovane brigadiere della stazione dei carabinieri di Agordo, che assieme al comandante il maresciallo Domenico Uda riaprirono le indagini sotto copertura. 

Il brigadiere, un volto non ancora conosciuto in paese, si recò in incognito ad Alleghe, trovando lavoro come operaio. Frequentando le osterie del centro riuscì a raccogliere degli ulteriori elementi investigativi. In giro si raccontava che i coniugi Del Monego vennero uccisi per aver visto troppo da Giuseppe Gasperin; Cesca riuscì a conoscerlo e proprio quest'ultimo gli confidò che nel Vicolo La Voi abitava una signora, Carolina Valt, che poteva sapere qualcosa in più sull'omicidio della coppia. Per arrivare alla Valt, il brigadiere si fidanzò con la nipote e, dopo aver conquistato la fiducia di Carolina, l'anziana donna gli rivelò che la notte del delitto aveva visto tre individui nel vicolo, uno dei quali era proprio Giuseppe Gasperin. A seguito di questa rivelazione, l'uomo venne convocato in caserma e, di lì a poco, arrestato. Gasperin rivelò i nomi dei responsabili degli altri atroci delitti portando, nel 1958, in carcere Pietro De Biasio, il marito di Adelina, Aldo Da Tos e, pochi mesi dopo, anche la stessa Adelina accusata di aver ucciso la giovane cameriera dell'Albergo Centrale. La magistratura ritenne che Carolina Finazzer fosse stata strangolata da Pietro De Biasio, con l'aiuto dei fratelli Da Tos, perchè durante il viaggio di nozze il marito le aveva accennato dell'omicidio di Emma De Ventura e lei non aveva reagito bene, dando segni di paura, e così i Da Tos decisero di farla fuori. I coniugi Del Magro vennero uccisi perchè la notte del 4 dicembre 1933, avevano visto Aldo portare in spalle il corpo della moglie morta verso il lago e, a distanza di ben tredici anni dall'accaduto Aldo De Tos, Pietro De Biasio e Giuseppe Gasperin posero fine alla loro esistenza.

IL PROCESSO

L'8 giugno 1960, la Corte d'Assise di Belluno, riconobbe colpevoli Aldo e Adelina Da Tos e Pietro De Biasio, condannandoli alla pena dell'ergastolo. Aldo e Pietro furono ritenuti gli esecutori della morte di Carolina Finazzer e dei coniugi Del Monego, mentre Adelina solo della morte di questa donna in quanto l'omicidio di Emma De Ventura era caduto in prescrizione. Giuseppe Gasperin venne condannato a trent'anni di galera di cui sei gli furono condonati per aver contribuito, con la sua confessione, all'arresto degli altri responsabili. Durante il processo d'appello nel 1964 anche i Da Tos e De Biasio confessarono di essere gli esecutori materiali dei delitti, ma le loro pene vennero anche confermate dalla Corte di Cassazione, il 4 febbraio 1964. Aldo e Pietro morirono in carcere, mentre Adelina venne graziata nel 1981 dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, morendo nel 1988. 

Ma sui misteri di questi anni di terrore non tutto è stato ancora svelato: cosa avesse visto per meritare di morire la cameriera Emma De Ventura, rimane nel silenzio. Cosa avesse raccontato Aldo Da Tos alla neosposa Carolina Finazzer, rimane un mistero pure quello; di questa storia rimane solo il suo corpo ritrovato nel lago, strangolato altrove. Infine fu una pistola a chiudere per sempre la bocca ai coniugi Del Monego, con l'unica colpa di aver visto troppo quella fatidica sera. 

In questa storia piena di ombre, molti furono quelli che preferirono ascoltare solo poche voci; oppure nessuna. Sergio Saviane no. Lui le ascoltò tutte riportandole nel libro I Misteri di Alleghe (Mondadori per Pilotto - 1964). E per questo, oggi, grazie al suo prezioso e instancabile giornalismo d'inchiesta questa triste e agghiacciante vicenda può continuare ad essere letta e raccontata, affinchè rimanga nella memoria di tutti anche attraverso lo spettacolo teatrale unico in Italia di Roberto Faoro che in scena interpreta Sergio Saviane, Ho giocato a carte con l'assassino Sergio Saviane e i delitti di Alleghe, regia di Francesco Bortolini, musiche di Antonio Fiabane e Alberto Mambrini, luci e audio di Paolo Pellicciari. Di questo lavoro esiste anche un DVD (Ho giocato a carte con l'assassino, il Film) girato nella splendida cornice della Sena, la piccola Fenice, il Teatro di Feltre sempre per la regia di Bortolini e coprodotto da Telebelluno.

I Misteri di Alleghe invece sono stati letti e registrati presso Radio Più di Taibon Agordino e sono disponibili in formato audio. Per la prima volta attraverso la voce di Roberto Faoro riecheggia nella vallata agordina e tra le vie di Alleghe il libro proibito, un omaggio sincero al grande giornalista dell'Espresso Sergio Saviane. 

Forse un giorno sarà concesso e reso possibile portare il monologo di Faoro ad Alleghe, affinchè in qualche modo si chiuda questa terribile ferita che direttamente o indirettamente ha riguardato la vita di migliaia di persone e che fu una vicenda che fece il giro del mondo. Una ferita che continua a pulsare.  

 

 

 

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