Arlecchino: Maschera o demone?

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La maschera più popolare e famosa della Commedia dell'Arte! Arlecchino ha un carattere stravagante e scapestrato. Celebre per i suoi imbrogli e burle a discapito dei padroni avidi e taccagni, non gliene va bene una.

Non è stupido, magari alle volte un po' ingenuo e testardo, talvolta sciocco, ma sempre pieno di fantasia e pura immaginazione. Ancora oggi, questo bizzarro personaggio dai palcoscenici dei teatri o nel pieno svolgimento del Carnevale, riesce ad incantare e divertire il pubblico di ogni età.

Storia e curiosità sul vestito di Arlecchino.

Il costume composto da una maschera nera, abbinato ad un vestito di losanghe lucenti multicolori, trae origine da un'antica leggenda. Si narra che Arlecchino altro non era che un bambino appartenente ad una famiglia povera. 

In occasione dell'arrivo del Carnevale, la scuola che frequentava l'esuberante adolescente, decise di organizzare una festa, alla quale era l'unico alunno a non poter partecipare, in quanto privo di un costume adeguato.

Verranno in aiuto i compagni di classe che, spinti da un profondo senso di orgoglio e solidarietà, portarono alla madre ciascuno un pezzetto di stoffa del proprio vestito. 

Con tutti questi ritagli e scampoli di tessuto, riuscì a realizzare un abito alquanto originale, che si caratterizzava per le sue variegate tonalità.

Arlecchino: diavolo e buffone.

La carriera teatrale di Arlecchino ebbe inizio nel '600, grazie all'attore bergamasco Alberto Naselli, chiamato inizialmente Zan Ganassa. In realtà la sua storia risale ai secoli precedenti.

Al principio si trattava di un demone, per lo più associato alla ritualità agricola e al ritorno dei morti. Già nel XII secolo il monaco cristiano, storico e cronista inglese Orderico Vitale, nel libro Storia Ecclesiastica, raccontava l'apparizione di una familia Herlechini: uno spaventoso corteo di spiriti e cavalli fantasma, che un prete errante avrebbe incontrato al calare del sole.

Questa credenza sembrava avere origini precedenti allo stesso cristianesimo: secondo numerosi studiosi, andrebbe collocata esattamente presso gli antichi popoli germanici, i quali erano certi che durante alcune notti particolari dell'anno, schiere di anime e potenti forze del male, si muovessero attraverso il cielo, producendo un grande brusio.

Gli spiriti pagani vennero reinterpretati come presenze demoniache, tanto da spingere il sommo poeta Dante Alighieri ad inserire un Alichino nel girone dell'inferno, proprio per la sua natura demoniaca.

Ma come si arrivò dal diavolo alla maschera del Carnevale? Oggi il tratto caratteristico di questa maschera è la comicità, alle volte semplice o sciocca.

Nel Medioevo la paura del maligno era molto sentita. Una delle armi più efficaci per contrastarla, era proprio il riso. Il Carnevale era proprio il momento migliore in cui questo poteva avvenire, rovesciando i ruoli fino a prendersi gioco del demonio. La visione del mondo rovesciato era possibile solo a patto che durasse 24 ore.

Così probabilmente Arlecchino, sarebbe giunto alla tradizionale Festa dei Folli. Dal momento poi che la Commedia dell'Arte si svolgeva a Venezia, proprio in occasione del Carnevale, la maschera divenne simbolo indiscusso di questa festa, anche in tempi moderni.

Ma chi può rivestire i panni di Arlecchino oggi?

Secondo il pensiero dell'attore, drammaturgo e regista feltrino Roberto Faoro, un Arlecchino del passato era il celebre scrittore e giornalista Sergio Saviane, autore del libro I misteri di Alleghe, nato da una lunga inchiesta di cronaca nera condotta da lui stesso, concernente una misteriosa serie di efferati delitti avvenuti nella cittadina situata in Provincia di Belluno, compiuti tra il 1933 e il 1946. 

Lo stesso Saviane venne più volte citato in giudizio per diffamazione dalle persone allora detenute, mentre la verità venne a galla grazie all'ottimo lavoro svolto dal polemista, assieme alle ricerche e indagini svolte da un brigadiere dell'Arma dei Carabinieri di quelle zone montane.

Oggi Faoro paragona Arlecchino al volto di un'attore, ma anche di un genio incompreso, un furbacchione (nel senso più buono e autentico del termine) che si getta a capofitto sulle cose, facendo molto spesso disastri, ma riuscendo caparbiamente a sollevarsi dalle mille disavventure della vita quotidiana.

Arlecchino gioca con tutto, anche con la morte. Ama ridere e scherzare. Un piccolo diavolo. 

 

 

 

 

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La mamma di Arlecchino non dorme mai.

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La mamma di Arlecchino non dorme mai.
Un atto d'amore.

Di e con: Roberto Faoro.
Drammaturgia, regia, scenografia: Mirko Artuso.

Spesso la vita ci capovolge. Da genitori si ritorna figli e da figli ci si ritrova ad essere genitori. Prendersi cura di chi ci ha dato la vita non è una cosa semplice, soprattutto se gli anni trascorsi insieme sono stati burrascosi. 

Un attore di mezza età si prende cura della mamma ormai anziana. Si lascia andare ai ricordi fino a confondere i suoi con quelli del personaggio che interpreta. Sono momenti di tenerezza, di rabbia e di spensieratezza. Piccoli trucchi per convivere, possibilmente in serenità.

Arlecchino e sua madre, l'attore e i suoi fantasmi. Mi sono sempre chiesto come poteva essere la mamma di Arlecchino, di quali stratagemmi si sia servita per allevare uno scavezzacollo come lui.

La risposta l'abbiamo trovata dai racconti ironici, pungenti, a tratti struggenti di Roberto Faoro, da questa sua intimità riemersa nella scrittura e dalle tante improvvisazioni fatte insieme.

La lingua del teatro, la lingua madre, la lingua dei sentimenti, il dialetto. Un racconto di sopravvivenza e di amore.

Il teatro nel teatro, la maschera e il suo doppio, l'intimità di un rapporto umano allo specchio in cui tutti, riflettendoci, possiamo riconoscerci nella nostra personale esperienza di genitore o di figlio. 

 

" Un testo pieno di tenerezza, ma anche di crudezza, spiritoso ma anche amaro, scritto con garbo ma senza sconti per nessuno. Ed è anche innovativo nel mescolare i ricordi e le esperienze dell'attore con quelle di un personaggio archetipico come Arlecchino".
Claudia Cannella - Direttrice di Hystrio.

"Fra tenerezza e ruvidezza, fra crudeli attestazioni d'amore e titanici atti di gratitudine, Roberto Faoro compie qualcosa di più che un'opera autobiografica: ci guida all'accettazione di un mondo degli affetti... e ci conferma che il miglior atto d'amore è un esercizio di verità. E non può essere che teatrale, proprio per questo."
Un lavoro bello, caldo, emozionante. 
Roberto Cuppone - 18 aprile 2022.
Professore associato di Antropologia Teatrale all'Università di Genova. Autore e regista. 

"Bella trovata drammaturgica".
Prof. Paolo Puppa.
Docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo. Direttore del Dipartimento all'Università di Venezia. Autore e critico teatrale. 

Vuoi proporre questo struggente spettacolo, in occasione della prossima stagione teatrale? Contatta subito il Centro Teatrale Da Ponte di Vittorio Veneto (TV). Info: 0438 550511 | + 39 347 1539184 

Foto: Arcangelo Piai - Fotografo. 

 

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