La teoria della performance, come vera espressione del sè in scena.
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La vita umana, dicevano gli antichi, è breve. L'arte, invece, è lunga e immortale, sopravvive alle generazioni degli uomini che, come foglie, nascono e si dileguano nel tempo di un mattino. Se c'è un aspetto caratteristico nella storia dell'arte contemporanea, è di aver a lungo polemizzato contro questo adagio secolare. Nei primi anni Sessanta la polemica sfocia in manifesto: l'arte deve farsi breve, effimera e fuggente proprio come la vita. E' questa la svolta imminente che conduce in pochi decenni alla fluidificazione dei confini tra singole arti, alla sperimentazione tecnica in ogni ambito, ma soprattutto a portare alla luce un nuovo genere artistico, la performance art.
Quest'espressione nasce tra le mura del Black Mountain College nel Nord della Carolina, che accolse durante il periodo bellico artisti ed intellettuali europei rifugiatesi negli Stati Uniti d'America per scampare alla persecuzione nazista. Negli anni Cinquanta questa struttura diviene la sede di una vera e propria comunità di artisti, musicisti, pittori, scrittori, attori e registi che contribuirono a determinare forme e ideologie all'avanguardia. Il fondersi delle molteplici idee degli artisti pone le premesse per dare vita ad un nuovo modo di fare arte che si trasferisce dal celebre college al Downton Newyorkese.
La performance trova inizialmente le sue espressioni nella musica di Cage del Fluxus Group, negli Happenings di Kapprow, nel lavoro politico del Living Theatre di Julian Beck e nella pop art di Andy Warhol. In questo particolare contesto storico, culturale e politico la performance si manifesta per lo più come un discorso multitematico che assembla le arti visive, il teatro, la danza, la musica, la poesia e il cinema in un ritornello, dove la ritualità primitiva e lo sciamanesimo determinano una ricreata interazione tra artista e spettatore, interrompendo il fazioso ricatto di compiacimento attraverso la proposizione di una strategia d'identificazione e di glorificazione e alla creazione di una rete di nuovi segni, che diventano facilmente riconoscibili dall'audience e, allo stesso tempo, sono fortemente alternativi e del tutto sperimentali alla normale quotidianità culturale dello spettatore, cioè alla forma e ai principi della cultura dominante. A tal riguardo, Andrea Nouryeh distingue cinque elementi principali che caratterizzano la performance: la body art, l'esplorazione dello spazio, del tempo, la rappresentazione autobiografica in cui l'artista racconta avvenimenti della propria vita e, infine, la cerimonia rituale.
La performance trova poi nell'elaborazione antropologica del teatro le strutture di ascendenza primitiva per veicolare la contestazione politica attraverso il ricorso ad un linguaggio subliminale che lega assieme vista e sguardo, artista e comunità, fenomeni sociali contemporanei e culture primitive superstiti. In seguito la performance viene influenzata sempre più dalla riflessione antropologica sul teatro, strutturando un training in grado di permettere all'attore di essere un performer, che azzera totalmente la soglia tra oggettivo e soggettivo, cioè tra estraniamento e immedesimazione, agendo per pura passione.
Questa nuova primitiva realtà dell'attore diventa un potente veicolo per la trasmissione di ideologie ed architetture dello spazio scenico postmoderno. Il nuovo approccio del performer segna la frontiera tra tradizione e avanguardia e tra messa in scena e performance. L'attore rappresenta il proprio personaggio fingendo di non sapere di recitare a teatro. Il performer, invece, mette al centro il proprio io, rifiutando il testo tradizionale, preferendo agire su un copione da cui non può prescindere, presentandosi sul palcoscenico come una persona narrante, sentendo il bisogno di trasformare la performance in un rituale che possa contribuire a rendere il teatro un'esperienza viva per lo spirito.
La performance esplica ciò che la scena tradizionale contiene in sè, cioè quello scambio di relazioni tra attore e spettatore, che porta quest'ultimo ad attendere da chi recita modalità codificate e, per tanto, l'attore necessita del comportamento riflettente dello spettatore. Di conseguenza, l'intensità della performance rappresenta il fulcro dell'atto creativo dell'attore sciamano. Nella performance il testo ricalca principalmente ciò che accade all'interno dello spazio performativo, che ricomprende sia l'azione della performance sia quella del pubblico. Per questo motivo la sua trasmissione non può che appartenere certamente alla tradizione orale.
La successiva evoluzione teorica della performance è legata al The Performance Group (TPG) che nasce nel lontano 1967 come laboratorio universitario alla New York University, fondato e diretto da Richard Schechner che un anno dopo trasferisce l'attività del TPG al Performing Garage di Wooster Street, dove il gruppo lavora alla tragedia di Euripide Le Braccianti, rielaborata con il titolo Dionysus in 69. La riadattazione del testo euripideo diventa per Schechner un vero e proprio campo di battaglia dove l'uso di strumentazioni sceniche e la denuncia socio - politica si affrontano alla ricerca di un qualcosa di unico in grado di rivoluzionare teatro e società.
Oggi Richard Schechner è considerato uno fra i più importanti artisti di teatro del Novecento, nonchè uno fra i massimi teorici. A lui si devono i sei assiomi sul teatro ambientale che pongono enfasi su concetti come ampio spettro della performance, comportamento recuperato, intere sequenze performative, magnitudini della performance, entrati definitivamente nel discorso sulle arti performative.
La scrittura di Schechner ripropone tali concetti attraverso il ricorso ad uno stile puramente incentrato sulla praticità della conoscenza. Lo dimostrano anche i numerosi articoli del suo libro "Il nuovo terzo mondo della performance" pubblicato da Bulzoni, tradotti in lingua italiana da vari docenti universitari e da giovani studiosi. In contrasto con le tendenze individualistiche dei suoi contemporanei, Richard Schechner trasforma ogni frase in uno strumento di lotta e di persuasione, a puro sostegno di un'arte sperimentale e radicale che sia davvero in grado di aiutare a creare una nuova estetica.
Da lui, in particolare, gli appassionati di teatro portano nel proprio cuore questi suoi pensieri riportati nel libro "Magnitudini della Performance" pubblicato sempre dalla casa editrice Bulzoni di Roma, nella collana Biblioteca Teatrale:
"Gli sciamani e gli artisti sono persone allenate ai sogni: possono mettere a fuoco, tenerli a mente e riferirli. Il racconto può avvenire attraverso qualsiasi mezzo: parole, azioni, disegni, suoni. Le persone allenate ai sogni sono anche capaci di combinare liberamente le loro immagini di sogno con quello che ricevono dalla vita comune, dalla tradizione ed altre fonti. Mettere in scena sogni o memorie elaborate dai sogni, rompe violentemente le barriere tra il virtuale e reale, una barriera che gli animali non possono far altro che mantenere intatta. Tra gli esseri umani il "come sè" congiuntivo del sognare è trasformato per mezzo della performance nell'indicativo "è" dell'azione del corpo. E una volta che la barriera tra sognare e fare è spezzata, ogni specie di cose (concettuali, fantastiche ricordate) si sparge in tutte le sue direzioni. Il futuro del rituale è il continuo incontro tra immaginazione e memoria tradotto in azioni eseguibili per mezzo del corpo." (R. Schechner - Magnitudini della Performance, Roma, Bulzoni).